La Turandot della finanza di mezza estate si chiama Fca. Mentre dal quartier generale di Sergio Marchionne si emettono poco più che monosillabi sul futuro strategico del gruppo, il resto del mondo parla convulsamente di Fca, delle sue alleanze, della sua vendita, delle sue riorganizzazioni societarie. Del “cosa farà da grande”. Ma il gruppo, come la regina dell’Opera di Puccini, non rivela le sue vere intenzioni. L’altro giorno Great Wall – il colosso automobilistico cinese “indiziato numero uno” per l’offerta di acquisizione che avrebbe rivolto a Fca – ha precisato seccamente la sua posizione con una nota: “La società ha condotto una valutazione su Fca, ma finora non vi è nessun progresso concreto. Non c’è assolutamente certezza che si procederà con il progetto. Inoltre, la società non ha avviato colloqui né siglato accordi con il vertice di Fca”. Come dire: “Noi ce la siamo suonata e noi ce la siamo cantata”. Eppure contemporaneamente i mercati hanno cominciato a palleggiarsi un’altra voce, che cioè Fca starebbe preparando lo spin-off societario dei brand Alfa Romeo e Maserati. Una voce che invece sarebbe coerente con l’ipotesi di una vendita – o comunque una confluenza – delle altre attività di Fca con quelle di un grande concorrente cinese…
A fine luglio, parlando con gli analisti finanziari, Marchionne si era sentito chiedere lumi sull’ipotesi degli spin-off, già emersa nel dibattito. E aveva risposto da par suo, da raffinato giocatore di poker qual è: “Sì ma anche no”. Ovvero: il ricorso agli spin-off non era finito con quello della Ferrari, nulla impediva di fare anche Alfa e Maserati, ma questo non significava volerlo fare davvero. Roba che sulle labbra di un politico avrebbero fatto imbestialire qualunque uditorio. Affermare una cosa e il suo contrario. Ma sulle labbra di un top-manager che ormai è un’icona di creatività anche spregiudicata e – indubbiamente – di risultati, diventa inebriante liquore, perché fa sperare, fa sognare e la Borsa ha bisogno di sogni.
Secondo un report di Equita Sim, se Fca scorporasse le attività di Alfa e Maserati “ci sarebbe ulteriore upside per la nostra somma delle parti del gruppo, indicativamente 2-4 euro per azione in funzione della struttura finanziaria delle attività scorporate”, anche se l’operazione non appare probabile perché i due brand hanno dimensioni ridotte (come potrebbero vivere da soli?), scarsa autonomia tecnologico-produttiva da Fca e dipendono da una gamma di modelli troppo ristretta.
Quel che resta di tante voci è però la netta sensazione che l’opinione degli analisti specializzati stia convergendo e rafforzandosi sempre di più su un concetto: Fca non può restare a lungo così com’è oggi. Ha bisogno ancora di un passo avanti: che sia dimensionale, lasciandosi acquisire (o in teoria acquisendo) un grande competitor, come la General Motors sognata da Marchionne o un gruppo cinese del genere di Great Wall; o trovando il futuro in un salto tecnologico di grande portata, e sembra improbabile che possa essere rappresentato dall’alleanza con Bmw e Intel appena avviata per l’auto a guida automatica, dove molti gruppi sono già ben più avanti; ma comunque così com’è oggi Fca non sembra in grado di garantirsi un futuro sereno.
Tutto sommato, per Marchionne, è questa l’acqua giusta in cui nuotare: il manager ha ampiamente dimostrato di sapersi esprimere al meglio nelle situazioni di transizione, nelle operazioni straordinarie, nei “deal” finanziari impensati, piuttosto che nella gestione della sana e tranquilla ordinaria amministrazione aziendale o nella elaborazione appassionata del prodotto…