La parola d’ordine al salone dell’auto di Francoforte era una sola: Elektrische, elettrica. Chi c’era (perché le defezioni ci sono state e sono state importanti: Peugeot, Fiat, Alfa Romeo e Jeep, Mitsubishi, Volvo, Nissan e Infiniti) ha tinto gli stand di verde, messo motori elettrici dappertutto e soprattutto ha colto l’occasione per fare annunci più o meno roboanti sull’argomento. Complici le dichiarazioni di un ministro cinese sulla possibile messa al bando dei veicoli a benzina e gasolio dal 2040, già ipotizzata dalla Francia e dall’Inghilterra, è stata una gara a chi presentava il piano più veloce e corposo di elettrificazione della gamma.



La battaglia l’ha vinta il gruppo Volkswagen che ha messo sul piatto 70 miliardi nei prossimi 13 anni (fino al 2030) per costruire una versione elettrica di ognuno dei 300 modelli del gruppo e per realizzare le batterie necessarie per farle circolare. Hanno seguito a ruota i marchi premium Bmw e Mercedes. Il primo entro il 2025 offrirà 25 veicoli elettrificati di cui 12 completamente elettrici, mentre il secondo metterà sul mercato entro il 2022 almeno 50 versioni elettriche dei suoi modelli e ha annunciato che dal 2020 Smart produrrà solo veicoli elettrici.



Gli obiettivi sono identici o quasi, ma le strade scelte dai costruttori tedeschi per riuscire a mettere insieme i soldi per questi investimenti straordinari sono del tutto diverse. I vertici di Volkswagen hanno deciso di vendere attività no core pari al 20% dei ricavi, anche se negli ultimi giorni sia gli azionisti privati (la famiglia Porsche), sia i sindacati (nel consiglio di sorveglianza) hanno in qualche modo smentito il ceo Muller fermando la vendita della Ducati. Bmw ha deciso, invece, di ridurre i costi di 2 miliardi di euro tagliando le spese di approvvigionamento di alcune componenti meccaniche, mentre Daimler (Mercedes e Smart) sembra voglia seguire la strada Marchionne per creare valore dividendo in tre la società: auto e furgoni da una parte, camion e autobus dall’altra e infine i servizi finanziari. Per la società la divisione “può garantire molti vantaggi tra cui la possibilità di raccogliere fondi per investire”, per gli analisti invece si parla di miliardi di valore che si “liberano” per i soci.



E Fca? Mentre Ford e l’Alleanza Renault-Nissan hanno ufficializzato i loro piani per lo sviluppo e per la produzione di auto a batteria in Cina, Jaguar mette in mostra il suo primo suv elettrico, la I-Pace, i coreani del Gruppo Hyundai annunciano l’intenzione di sfornare 28 modelli elettrici entro il 2020, a Torino, forti della Pacifica, un modello ibrido prodotto e venduto negli Usa con il marchio Chrysler, tacciono, ma sembra che alla fine del mese dalla tradizionale riunione dei top manager si parlerà dell’argomento e usciranno delle date e delle cifre che potranno, senza troppo danno, essere sempre riviste, come nelle migliori tradizioni.

La grande assente al Salone di Francoforte è stata la guida autonoma. Nessuna grande novità, nessun salto in avanti significativo. Un momento di riflessione forse necessario mentre il National Transportation Safety Board, l’autorità di supervisione della sicurezza stradale americana, afferma che il sistema di guida semi-autonoma della Tesla – il famoso autopilot – “ha contribuito a un incidente mortale avvenuto l’anno scorso nella Silicon Valley”.

E un momento di riflessione varrebbe la pena di farlo anche sull’auto elettrica, almeno per adottarla in maniera consapevole e non in base a una moda. Il suo avvento non chiuderà il famoso buco dell’ozono causato dai gas serra perché l’anidride carbonica prodotta dalle auto a motore termico complessivamente rappresenta soltanto il 10% di quella prodotta dalle attività umane. In più le polveri sottili sono in gran parte provocate dal rotolamento sull’asfalto degli pneumatici… gli stessi che montano anche le auto elettriche.

Poi ci sarà un piccolo problema che riguarderà decine di migliaia di persone: per costruire un’auto elettrica ci vogliono meno persone perché ci sono meno componenti (pensate ai radiatori, agli iniettori, agli impianti di scarico, ecc.). Meno posti di lavori, più disoccupazione, meno crescita, più povertà. Anche questo è il futuro.