La conference call con gli analisti tenutasi ieri dopo la presentazione dei dati di bilancio di Fca verrà ricordata per i buoni conti, ma soprattutto per essere stato un mix tra informazioni, aspettative e mezze verità. Tra le prime c’è il fatto che a febbraio verrà discusso lo scorporo di Magneti Marelli nel consiglio di amministrazione dell’azienda. E quella che riguarda il nome del successore di Marchionne che non verrà annunciato il primo giugno, quando il gruppo presenterà il nuovo piano industriale 2018-2022. Ma “non c’è alcun dubbio, che sarà in quella stanza” ha detto il ceo di Fca “e sarà in grado di realizzare il piano”.
Meno credibili sono l’affermazione di Marchionne in tema di alleanze e di prospettive future. “Nessuno si è presentato all’invito”, ha detto. Ma in un settore industriale in cui tutti parlano con tutti, sempre, ci pare strano. Ci sembrano più probabili altre ipotesi. O nessuno ha voluto trattare con Marchionne conoscendo le sue abilità, o nessuno ha considerato allettanti le condizioni poste da Exor. Oppure il partner c’è già e aspetta solo l’uscita di un manager bravo quanto scomodo per formalizzare l’accordo. Considerare poi, come crede il ceo di Fca, che l’azienda possa “combattere ad armi pari” con concorrenti che fanno due volte e mezzo la sua produzione in un settore nel quale bisognerà investire moltissimo in nuove tecnologie nei prossimi anni, ci pare una affermazione perlomeno azzardata. Almeno come quella che vede Fca “in buona posizione per essere un top performer nel mercato mondiale”.
I numeri del bilancio, invece, sono certificati e molto buoni. Nel 2017 è stato quasi dimezzato l’indebitamento (da 4,6 a 2,4 miliardi di euro), il reddito operativo adjusted è salito del 16% fino ad arrivare a 7,1 miliardi, l’utile adjusted del 50% toccando quota 3,8 miliardi e l’utile netto è stato fissato a 3,5 miliardi in crescita del 93% rispetto al 2016. L’unico dato non da incorniciare è il fatturato complessivo che è sostanzialmente identico a quello del 2016 (110,9 miliardi contro 111 dell’anno precedente). Le stime degli analisti davano dai 5 ai 10 miliardi in più, ma questo non è molto importante.
È significativo, invece, che questa stabilità di fatturato sia il frutto di un andamento opposto delle vendite negli Stati Uniti (diminuite di 4%, da 69 a 66 miliardi) rispetto a quelle in Europa e in Sudamerica (aumentate, rispettivamente del 4% a 22,7 miliardi e del 29% a 8 miliardi). Ciò significa che Fca mostra maggiori difficoltà laddove la percentuale dei guadagni sul fatturato è, ed è sempre stata, maggiore (dal 7,9% del 2017 al 7,4% dell’anno precedente) e aumenta le immatricolazioni dove questa percentuale è, ed è sempre stata, inferiore. In Europa l’ebitda adjusted, pur migliorando, è meno della metà (3,2%) rispetto a quello americano (7,9%), mentre in America Latina questa percentuale scende ancora fino a toccare l’1,9%. In Asia i margini di guadagno sono interessanti (5,3%), ma anche in questo caso i fatturati diminuiscono passando da 3,6 a 3,2 miliardi (-11%).
Insomma, Marchionne con il taglio dei costi è riuscito a guadagnare di più e a ridurre l’indebitamento vendendo 60 mila auto in meno (da 4,48 a 4,42 milioni di veicolo consegnati) e fatturando più o meno la stessa cifra dell’anno precedente. “Abbiamo raggiunto gli obiettivi del piano industriale al 2018; ora siamo nell’allungo finale. C’è ancora molto lavoro da fare, specialmente negli Stati Uniti, ma ce l’abbiamo fatta quando nessuno ci credeva”, ha detto il ceo di Fca. E in questo ha assolutamente ragione.