Fiat è stata la protagonista dei primi giorni del 2018 della Borsa di Milano. Il titolo è salito di quasi il 20% nella prima settimana di contrattazioni inanellando performance al rialzo in successione. La spiegazione andata per la maggiore ha attribuito l’exploit alle prospettive del mercato americano, il più importate, di gran lunga, per il gruppo auto. La spiegazione non appare particolarmente convincente; nessuna delle sorelle americane di Fiat Chrysler si è avvicinata ai rialzi della società quotata a Milano. Il rialzo di Ford nello stesso periodo è stato inferiore al 5% e quello di General Motors di circa il 7%. Per trovare le ragioni di questo rialzo bisogna quindi uscire dall'”industria” e cercare altrove.



Nelle ultime settimane dell’anno e anche negli ultimi giorni si è notato un considerevole aumento dell’interesse per le opzioni sul titolo. È possibile dedurre che gli investitori stiano scommettendo su un aumento importante della volatilità sul titolo tendenzialmente al rialzo. I rialzi degli ultimi giorni sono probabilmente nati in questo contesto; per qualche ragione sembra che qualcuno si sia convinto che questo possa essere il momento giusto per un nuovo “salto in avanti” di Fiat Chrysler. È una convinzione non particolarmente originale; negli ultimi anni Fiat è stata al centro di una serie unica, sicuramente nel suo settore, di operazioni straordinarie. Ci sono quelle annunciate e realizzate come l’acquisizione di Chrysler, lo spin-off di Cnh e Ferrari, quelle in discussione, Magneti Marelli, e poi ci sono i tentativi andati a vuoto come le offerte di fusione con Gm, certe, e quelle probabili con Volkswagen. Non è particolarmente strano che il mercato abbia scommesso su un’altra operazione; è più strano che ci si dimentichi che le operazioni societarie di Fiat sono da anni un azionista molto importante, forse di maggioranza, dei suoi movimenti borsistici. 



L’ultima ipotesi in ordine di tempo è che Fiat Chrysler possa in qualche modo essere “più protagonista” delle ultime evoluzioni del settore auto. Gli investimenti in auto elettrica o a guida autonoma hanno coinvolto società che non fanno tradizionalmente parte del settore auto. L’esempio più noto è quello di Tesla, che in un certo senso si è messa all’avanguardia di un settore pur essendo l’ultima arrivata. L’esempio di Tesla non è solitario; sono noti gli sforzi di Google e Apple per l’auto a guida autonoma. Anche James Dyson, quello delle scope elettriche, sta lavorando con investimenti miliardari su un progetto di auto elettrica. Tra immaginare una nuova auto elettrica e produrla in centinaia di migliaia di pezzi in tempi ragionevoli, senza sbagliare e senza sforare i costi c’è però tutta la differenza del mondo. Tesla in queste settimane sta pagano carissima la propria inesperienza proprio nella produzione della sua prima auto di massa. Gli obiettivi di produzione settimanale del nuovo “model 3” sono stati pesantemente rivisti al ribasso. Produrre centinaia di migliaia di auto di massa all’anno comporta problemi molto diversi da produrne qualche migliaio di lusso. 



Il settore si potrebbe evolvere in una direzione in cui chi vuole lanciare un nuovo prodotto decide di avere bisogno di una piattaforma industriale che solo una società con decenni di esperienza può offrire. Fiat è sicuramente sul mercato, sicuramente interessata a una fusione e in particolare anche a quelle che consegnano ad altri il timone. Forse qualcuno ci ha pensato e ha deciso di mettere insieme le due cose. È un’ipotesi che sta in piedi e a cui si può credere in una fase di mercati spumeggianti. L’errore sarebbe quello di dimenticarsi della storia degli ultimi dieci anni di Fiat.