Tempi duri per l’industria automobilistica. Stretti tra regole che diventano sempre più assurde, innovazioni tecnologiche che nessuno vuole comprare, mercati fondamentali come la Cina in difficoltà e problemi produttivi legati alla Brexit e ai nuovi dazi, i manager del settore non sanno più che pesci pigliare. O meglio: sanno che non hanno alternative. Devono andare contro la logica, il mercato, i propri clienti per evitare di essere massacrati di multe, dalle amministrazioni pubbliche, dai tribunali.
Devono ridurre gli utili e investire decine di miliardi in settori che, almeno finora, non hanno la minima possibilità di espandersi se non in maniera supportata dagli Stati. Devono combattere su terreni che non sono i propri contro i giganti dell’elettronica perché non possono farne a meno. Devono puntare sulla condivisione del prodotto anche se finora nessuno ha la minima idea su come farci dei soldi. Devono cambiare una struttura produttiva efficiente e collaudata per seguire i capricci delle nuove guerre commerciali. Insomma, devono fare ciò che farebbe orrore anche a uno studente di economia del primo anno. E suicidarsi dal punto di vista industriale per trasformarsi in quel fornitore di servizi di mobilità che vuol dire tutto e non vuol dire niente.
L’idea migliore di questa totale confusione ce l’ha data nei giorni scorsi General Motors, che per riuscire a “puntare dritto verso l’auto elettrica a guida autonoma” ha deciso di licenziare più di 14 mila persone. I soldi risparmiati, come per tutti i costruttori, saranno impiegati per raggiungere il Sacro Graal di un’auto a batteria che faccia davvero 500 chilometri e si ricarichi in una ventina di minuti.
Quanto costeranno questi veicoli non si sa. Né chi le comprerà. Di certo non gli agricoltori americani dell’Oregon o chiunque nel mondo non abiti in grandi città. Anche perché tutta questa innovazione servirà sempre e comunque agli abitanti di quelle che saranno le megalopoli del futuro, quelle che ingloberanno milioni di abitanti. Per tutti gli altri si vedrà. O meglio: si sta già vedendo, in Francia. Al di là delle Alpi è in atto una battaglia tra cittadini e “campagnoli”. Il Governo ha deciso di aumentare il prezzo dei carburanti per ridurre le emissioni e migliorare la qualità dell’aria. Peccato che ci siano milioni di francesi che vivono lontano dai centri abitati che devono per forza usare le auto, quelle normali a motore termico, per andare al lavoro, fare la spesa, andare da un vicino… che abita a quattro o cinque chilometri. I giubbotti gialli ce l’hanno con i parigini e il Governo che con la metropolitana sotto casa possono farsi belli con la vetturetta elettrica, con la protezione dell’ambiente, con la lotta al buco nell’ozono che forse si è chiuso e forse no. Ma questo è solo l’inizio, perché a parole siamo tutti per un ambiente pulito. Però i costi non devono ricadere sulla parte più debole della popolazione.
Se i tempi sono duri per l’industria automobilistica, lo sono ancora di più per i top manager del settore. L’ormai ex capo di Audi Rupert Stadler è rimasto in galera per quasi sei mesi in Germania per la questione del device che tagliava le emissioni in casa Volkswagen, mentre l’ancora attuale capo di Renault Carlos Ghosn è in galera in Giappone per questioni fiscali e di appropriazione indebita. Se qualcuno lo avesse anticipato quattro o cinque anni fa ci saremmo messi a ridere perché sono figure in tutto paragonabili come carisma e realizzazioni a Sergio Marchionne. Ma quando gli dei cadono vuol dire che per i comuni mortali le tempeste sono di un livello inimmaginabile.