Il fumo dei caminetti, la polvere di legno, le bevande troppo calde, lavorare in un’azienda tessile, il tè, il vino. Tutte le protesi (comprese quelle dentali e quelle al seno), le lampade abbronzanti, la fuliggine, il pesce saltato in stile cinese. Il consumo di carne lavorata (come salame e prosciutto), le pillole anticoncezionali, fare l’imbianchino, i pacemaker. Sono solo alcune delle attività o delle sostanze che sono classificate come sicuramente cancerogene dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della sanità. In questo lungo, e a volte bizzarro, elenco, dal 2014 sono inserite anche le emissioni dei motori diesel. Non una singola sostanza emessa come gli ossidi di azoto, il Pm10 o l’ossido di carbonio, ma l’emissione dei propulsori a gasolio in generale.



Bisogna partire da qui per capire cosa sta succedendo nel mondo e, in particolare, a Milano negli ultimi giorni e per comprendere la crociata portata avanti a livello globale contro il diesel e l’innamoramento apodittico per le motorizzazioni elettriche in tutte le varie versioni. Il gasolio è un bersaglio facile. Poco importa se sia colpevole o innocente.



Il diesel, come tutti i carburanti di origine fossile, produce ossido di carbonio (Co2), ma i motori a gasolio ne emettono meno di quelli a benzina perché i motori consumano meno e in maniera differente. Le auto diesel degli ultimi dieci anni, con i filtri antiparticolato, secondo una ricerca condotta dai ricercatori dell’Istituto Paul Sherrer, la più grande struttura di ricerca della Svizzera, emettono in media una quantità di particolati 10 volte inferiore rispetto a quelle a benzina quando la temperatura si aggira attorno ai 22 gradi centigradi, e 62 volte meno quando la temperatura scende a meno 7 gradi centigradi. Perché sono più efficienti. Per quanto riguarda invece gli NOx, gli ossidi di azoto, i dati rilevati dalle centrale a Milano nell’ultimo anno sono in media inferiori della metà rispetto al valore limite stabilito dalla legge.



Ma queste considerazioni sono del tutto inutili, come la ricerca dell’Arpa che attesta come il 45% del pm10 presente nell’atmosfera della Lombardia sia causato dagli impianti di riscaldamento a pellet che per anni sono stati sovvenzionati dalla Regione. O quella della stessa fonte (pubblica) per cui il Pm10 generato dai motori diesel è diminuito in questi anni tanto da pesare ormai sulle polveri sottili cittadine quanto l’usura dei freni e degli pneumatici dei veicoli. Inutile anche dire che una massaia ai fornelli respira più NOx di un pedone in città, perché tutto ciò che brucia in presenza di aria favorisce la formazione di questi ossidi. Non si può fare nulla o quasi contro una guerra più politica e ideologica, che scientifica.

Eliminare le auto diesel «significa togliere dalle strade 200 mila veicoli responsabili del 64% delle emissioni allo scarico di pm10 e del 21% dell’ossido di azoto», spiega convinto sparando numeri a casaccio il capogruppo Pd al comune di Milano, Filippo Barberis, a cui non passa neanche per l’anticamera del cervello che togliere questi veicoli dalla circolazione significa che ci saranno decine di migliaia di milanesi a piedi. Naturalmente saranno quelli che non si possono permettere di comprare un’auto elettrica, i più poveri, i giovani, quelli che hanno una mezza occupazione o non ce l’hanno affatto. Useranno il tram. E nel frattempo un’ideologica guerra al diesel significa anche mandare in malora la vendita delle auto diesel nuove euro 6 che non temono paragoni dal punto di vista delle emissioni rispetto a qualsiasi altra auto con motore termico in commercio.

Vorremmo vedere nei prossimi anni, mentre si fa sempre più pressante il blocco dei veicoli a gasolio, il Comune di Milano mostrare lo stesso impegno nel collocare per strada colonnine di ricarica elettrica. Diciamo 50 mila nei prossimi sette anni, una ogni quattro auto diesel da rottamare nello stesso periodo. Per ora a Milano sono 84. C’è molto da lavorare.