C’è una bella differenza tra ciò che si desidera e quello che si può fare. E se, poi, i regolamenti entrano a piè pari nei rapporti tra l’industria e i consumatori, fregandosene della realtà, delle infrastrutture e delle condizioni del mercato, il disastro è assicurato. Lo ha detto, senza giri di parole, Carlos Tavares, presidente di Peugeot-Citroen e dell’Associazione dei costruttori d’auto europei, Acea, parlando (nel suo duplice ruolo) della proposta della Commissione europea che fissa un target di vendita di auto elettriche nell’Ue del 15% entro il 2025 e del 30% entro il 2030. «Non è realistico», ha detto, perché oggi siamo a meno dell’1% delle vendite totali di auto in Europa e c’è un «enorme divario» di mercato tra i 28, non ci sono le infrastrutture e latitano gli investimenti dei governi per realizzarle. 



«Gli obiettivi di taglio delle emissioni», ha detto Tavares, «dovrebbero considerare ciò che le persone possono realmente permettersi». Per l’Acea, infatti, l’85% di tutte le auto elettriche nell’Ue è venduto in 6 Paesi con un Pil pro-capite superiore ai 35.000 euro (Norvegia, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo, Belgio e Austria), mentre nei Paesi con un Pil pro-capite inferiore a 18.000 euro, come in Europa centrale e orientale, la quota di mercato è prossima allo zero. 



Anche dal lato delle infrastrutture le preoccupazioni sono pesanti. Secondo i dati di Acea, dei circa 100.000 punti di ricarica per le auto elettriche disponibili oggi nell’Unione europea, il 76% è concentrato in 4 Paesi (Olanda, Germania, Francia e Gran Bretagna). Nella “top ten” rientra anche l’Italia, ottava, con 2.741 colonnine (2,35% del totale Ue). Molto indietro invece tutta l’Europa centrale e orientale, dai 38 punti di ricarica in Grecia, maglia nera, ai 144 della Romania.

Per darvi un’idea di cosa chiede l’Europa ai costruttori, nel 2017 nel continente sono state vendute 149 mila auto elettriche, mentre il legislatore impone di arrivare tra sette anni a quota 2,2 milioni. Ogni anno le vendite “verdi” dovrebbero crescere del 47%. Non proprio bazzecole. Poi per i successivi cinque anni le immatricolazioni dovrebbero salire, indefesse, ancora di “solo” il 15% ogni anno, senza sgarrare mai, fino ad arrivare a 4,5 milioni di auto elettriche vendute ogni anno. Dovranno produrle e venderle, anche se nessuno vorrà comprarle. Al confronto i piani quinquennali di Stalin per la produzione di beni di consumo destinati alla vendita erano misure da principianti.
Tavares, dunque, ha ragione da vendere, ma non la dice tutta fino in fondo. Non dice che sono i consumatori a non essere convinti dalle vetture elettriche (e lo dimostrano i dati delle immatricolazioni complessive del 2017). Non dice che  gli scompensi ambientali dovuti a un così alto numero di auto elettriche per la produzione delle batterie e il loro smaltimento sono certi e potenzialmente più pesanti di quelli delle vetture a motore termico. E soprattutto Tavares non dice che se i produttori fossero costretti dalla legislazione europea a raggiungere questi obiettivi ci sarebbero solo due strade. 



La prima sarebbe quella di ridurre significativamente i prezzi di vendita delle auto elettriche andando in perdita, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro, i bonus dei vertici aziendali, i dividendi delle azioni e il loro valore in Borsa. I manager della aziende automobilistiche, in alternativa, possono alzare il prezzo delle auto a motore termico per rendere meno appetibile il loro acquisto e per forzare le scelte dei clienti, creando comunque una marea di esuberi tra i lavoratori, ma mantenendo, magari alzandoli un po’, margini di guadagno, bonus, dividendi e valore delle azioni. 

Secondo voi cosa sceglieranno? A noi sembra evidente. Se questi diktat europei saranno rispettati, tutte le auto costeranno molto di più e chi non potrà permettersi di acquistarne una nuova dovrà, finché glielo permetteranno, continuare a spostarsi con vecchi veicoli molto più inquinanti. Esattamente il risultato opposto a quello che il legislatore europeo si propone di ottenere.