Motta ha da poco pubblicato il suo terzo album, dal titolo “Semplice“, e si sta preparando a presentarlo live a partire dal 26 giugno da Genova. Durante il tour farà tappa anche a Milano, Mantova, Arezzo, Catanzaro, Agrigento e in tante altre città. Intanto, ha colto l’occasione per parlarne in un’intervista con Rockol, nella quale ha fatto un confronto tra il suo nuovo progetto e quello precedente, uscito nel 2018: “Ho rimosso la forzatura che mi sono autoindotto con ‘Vivere o morire’, il mio disco precedente. Mi sono detto: ‘Se qui va tutto al meglio, io devo ripartire da un altro punto‘. Ho sempre cercato qualche cosa di cui non ero padrone, che non sapevo fare bene”.



Come si deduce dal titolo del disco, Francesco Motta ha puntato sulla semplicità questa volta e non nasconde che è stato faticosissimo: “Il disco è nato per ricercare la semplicità, ma non è minimale. Forse è l’album più corposo che abbia mai realizzato. E pensare che il titolo è arrivato alla fine. Lessi ‘Le lezioni americane’ di Calvino e rimasi colpito dal suo descrivere la leggerezza, che non è una piuma che cade, ma è lo sbattere d’ali incessante dell’uccellino che vola. La semplicità è una conquista“.

Motta: “Mi sono fatto un dono e ho ritrovato la musica”

La semplicità di cui il cantante ha parlato a Rockol l’ha trovata, se vogliamo, anche grazie alla pandemia. Nei lavori passati c’era la paura del tempo: “Vivendo tanto la città, mi nutrivo delle storie degli altri. Ma poi tutto, con la pandemia, è cambiato: sono ripartito da me e sono anche riuscito a immaginarmi un futuro. C’è stato un periodo in cui non ce la facevo più a stare in città, la amavo, ma era lo specchio di ciò che non potevo più fare. Dissi a Carolina:Andiamo un mese in campagna‘. Poi i mesi sono diventati due, tre, cinque. Mi sono fatto un dono, mi sono regalato dei bei ricordi. E in quel momento ho ritrovato la musica”.

Motta ha poi continuato dicendo che è proprio grazie alla campagna che si è posto la domanda sul perché faccia musica. E la risposta è arrivata con una canzone dei Colle der Fomento che in un verso cantano ‘Non lo faccio ne pe loro ne pe l’oro. Lo faccio solamente perché sinno me moro‘ (Se non lo faccio muoio): “Per me un album ha un inizio e una fine. E’ un racconto. E’ come la scaletta di un live. L’inizio del disco parte con degli archi che rappresentano una rinascita, la fine invece è molto nera, ma è un mondo che mi piace. Il prossimo progetto potrebbe ripartire da lì”.

Motta: il brano con Brunori Sas e il consiglio di De Gregori

Il cantante, durante l’intervista per Rockol, si è soffermato a raccontare della traccia finale del disco, ossia “Quando guardiamo una rosa“, che presenta una lunga parte strumentale psichedelica: “E’ una traccia scritta con Dario Brunori, con una parte finale strumentale che poteva durare ancora di più. Avevo bisogno di raccontare un periodo duro per tutti, come quello che abbiamo vissuto, anche con lo sguardo di qualcun altro, in questo caso di un caro amico. Ci sono le parole e poi c’è la musica, catartica. C’è un lungo sfogo strumentale in chiusura perché forse le parole erano finite”.

Non c’è solo Brunori Sas tra gli artisti con cui Motta ha avuto a che fare per questo album, c’è un aneddoto che ha raccontato e che vede coinvolto Francesco De Gregori: “Dopo aver scritto ‘Qualcosa di normale‘ ho fatto un sogno assurdo. Mio padre e mia madre sono in casa. Mio padre risponde al telefono e poi mi fa sapere che ‘fra poco arriva Francesco‘. Corro per giungere in fretta, perché capisco che sta parlando di De Gregori, ma sprofondo in un burrone. Allora prendo un bus, arrivo trafelato a casa e faccio ascoltare a De Gregori ‘Qualcosa di normale’ e un altro inedito. Mi sveglio al mattino e mi convinco di dovergliela far sentire per davvero“. Dopo avergli mandato un’e-mail, il cantautore di “Rimmel” avrebbe risposto consigliandogli di cantarla con una donna, e allora Motta ha scelto sua sorella Alice.