Ciascuno dei paragrafi che compongono il motu proprio Antiquum Ministerium, con cui Papa Francesco ha formalmente istituito il ministero del catechista, rappresenta un’introduzione significativa ad un documento che si preannuncia dirimente per la Chiesa di Roma.
Sia nell’immaginario popolare, che nella realtà dipinta dal documento, infatti, il ministero è qualcosa di solenne, unico, che disegna i contorni di un “prima” e di un “dopo” nella vita di una persona che lo ricopre. Francesco osserva che di tale solennità la Chiesa avesse bisogno per individuare coloro che sono chiamati a dare sostanza all’annuncio ricevuto. Il catechista, nell’intenzione del Papa, non è soltanto chi trasmette dei contenuti di fede ai bambini o ai ragazzi, ma tutti coloro che si fanno carico di condividere la vita con chi sta approfondendo l’incontro di fede vissuto, una presenza che possa rendere l’approfondimento delle fondamenta del cristianesimo come qualcosa di solido e fecondo: la catechesi viene dunque rinnovata come un gesto vitale di condivisione e di compagnia di un tratto dell’esistenza e non come un “corso” dalla cadenza settimanale con attività, valutazioni e “lavoretti” da fare a casa.
Solo per queste righe l’intenzione di papa Bergoglio supera le aspettative che avevano accompagnato l’annuncio del documento stesso per proporre una visione innovativa di quello che è un ministero serio e prezioso per ogni comunità. Lo si comprende ancora meglio nel paragrafo 2 del motu proprio, dove si parla apertamente non di esercitare un servizio per cui – in linea di principio – una persona vale l’altra, quanto di riconoscere, da parte della Chiesa, un dono dato da Dio stesso a qualcuno, un carisma, per l’edificazione del popolo del Signore. In questa prospettiva il ministero deve essere davvero letto come il prolungamento nel tempo presente di un atteggiamento che ha portato molti santi a perdere la vita pur di donare la fede, un desiderio di “plantatio ecclesiae” che oggi ha necessità di essere rinnovato anche nei paesi dall’antica tradizione cristiana e che si propone di risvegliare nel cuore di tanti l’entusiasmo stesso dell’essere credenti.
Per tali motivi il catechista non potrà limitarsi a preparare i più giovani a ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma dovrà svolgere attività di primo annuncio e di formazione permanente di coloro che hanno accolto la fede nelle loro vite. Negli ultimi anni, specialmente in Italia, il ruolo del catechista ricordava quello delle vecchie maestre elementari che si facevano carico dell’educazione completa della persona, ma la cui professionalità era messa spesso in secondo piano. Francesco, al contrario, riconosce al catechista una professionalità propria, da coltivare mediante la preghiera, lo studio e la partecipazione diretta e costante all’esperienza della comunità. Si delinea così non solo un itinerario di formazione al ministero, che ogni conferenza episcopale nazionale dovrà tessere, ma anche una forte chiamata alla missione che ogni catechista dovrà esplicitare in un tempo di discernimento, formazione e preghiera.
D’altronde è Francesco stesso ad indicare come adatti a questo ministero tutti quegli uomini e quelle donne di profonda fede e di maturità umana capaci di generosità, di accoglienza e di vita di comunione fraterna. Per decenni, soprattutto nei paesi di antica presenza della fede, il catechista è sembrato poco più che un aiutante del parroco. Oggi, al contrario, la sua opera è riconosciuta come necessaria ad una nuova “implantatio ecclesiae”, affidando a questi fratelli e sorelle la prima linea della Nuova Evangelizzazione.
Il Papa promuove dunque l’ennesimo passo di “sclericalizzazione” della vita della fede, riconoscendo in questo cambio d’epoca una chiamata profonda a rendere il laicato protagonista di una stagione nuova in cui uomini e donne, maschi e femmine, si assumano direttamente la responsabilità della vita della fede e della generosa risposta del popolo alle Grazie che Dio stesso ogni giorno dona al Suo corpo per farlo ripartire, per renderlo segno di contraddizione e speranza tra i marosi del tempo e le mille chiamate della storia. Ci sarà tempo per capire e per tornare meglio su queste righe di Francesco, ma già fin d’ora quello che si intuisce è un altro passo ineludibile di conversione di consapevolezza per la Chiesa tutta all’inizio del terzo millennio.
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