Papa Francesco

con una nuova Lettera Apostolica in forma di “Motu Proprio” (una decisione “di propria iniziativa” secondo l’ordinamento del Vaticano) ha disposto oggi 29 aprile 2021 una nuova legge anti-corruzione per i dirigenti della Santa Sede: nella lettera “recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica” il Santo Padre pone un nuovo tassello sul fronte giustizia-corruzione per rinnovare disposizioni e usi negli organismi vaticani. «La Santa Sede, nell’aderire alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (Convenzione di Merida), ha deciso di conformarsi alle migliori pratiche per prevenire e contrastare la corruzione nelle sue diverse forme»: già nel Motu Proprio del 19 maggio 2020, erano stati posti «presidi fondamentali nel contrasto alla corruzione nella materia dei contratti pubblici».



Però, scrive il Papa, la corruzione può manifestarsi anche in modalità differenti e su quelle prova ad intervenire la nuova legge sulla trasparenza in Vaticano: per questo viene chiesto a Cardinali e dirigenti fedeltà assoluta, citando ad inizio lettera il Vangelo di Luca «La fedeltà nelle cose di poco conto è in rapporto, secondo la Scrittura, con la fedeltà in quelle importanti. Così come l’essere disonesto nelle cose di poco conto, è in relazione con l’essere disonesto anche nelle importanti». Chiunque lavori nella Curia Romana non potrà ad esempio ricevere regali sopra i 40 euro e nemmeno mantenere beni e fondi in paradisi fiscali: «per i soggetti che ricoprono ruoli chiave nel settore pubblico particolari obblighi di trasparenza ai fini della prevenzione e del contrasto, in ogni settore, di conflitti di interessi, di modalità clientelari e della corruzione in genere».



LA LETTERA MOTU PROPRIO DI PAPA FRANCESCO

Tre soli articoli

– con relativi sotto-commi e postille – scandiscono la nuova riforma contro i corrotti in Vaticano di Papa Francesco: sarà richiesto di attestare a Cardinali, dirigenti e amministrativi della Santa Sede di non aver riportato «condanne definitive, in Vaticano o in altri Stati, e di non aver beneficiato di indulto, amnistia o grazia, e di non essere stati assolti per prescrizione. Di non essere sottoposti a processi penali pendenti o a indagini per partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, terrorismo, riciclaggio di proventi di attività criminose, sfruttamento di minori, tratta o sfruttamento di esseri umani, evasione o elusione fiscale». Gli stessi dovranno poi dichiarare di non detenere «contanti o investimenti o partecipazioni in società e aziende in Paesi inclusi nella lista delle giurisdizioni ad alto rischio di riciclaggio (a meno che i loro consanguinei non siano residenti o domiciliati per comprovate ragioni familiari, di lavoro o studio)». Viene anche richiesto ai dipendenti del Vaticano con ruoli chiave di non detenere “partecipazioni” o “interessenze” in società o aziende che operino con finalità contrarie alla Dottrina sociale della Chiesa. Da ultimo, stabilisce il Motu Proprio di Papa Francesco, la Segreteria per l’Economia «potrà eseguire controlli sulla veridicità delle affermazioni messe nero su bianco dai dichiaranti, e la Santa Sede, in caso di dichiarazioni false o mendaci, potrà licenziare il dipendente e chiedere i danni eventualmente subiti».