A Napoli – e non solo – il primo sabato “post lockdown” è stato di pura follia. Lungomare bloccato fino alle 4 del mattino, auto e scooter parcheggiati ovunque, tantissimi giovani “assembrati” sugli scogli, molti senza mascherina e con un tale baccano per cui pochissimi hanno potuto dormire.
Episodi così sono gravissimi dal punto di vista epidemiologico perché possono favorire i contagi, però bisogna anche rendersi conto che sono un sintomo: di isolamento non si vive. L’uomo ha bisogno di stare con gli altri uomini, se è vero che perfino nel paradiso terrestre, nonostante passeggiasse con Dio, prima che ci fosse la donna, l’uomo si sentiva solo. Alcuni giovani sbagliano quando dicono che è meglio correre il rischio del Covid-19 piuttosto che farsi venire la “depressione”: sbagliano, ma il senso dell’affermazione è giusto.
Una madre mi riferiva la reazione turbata della figlia che tornerà a fare attività sportiva ma non potrà riabbracciare le amichette, perché dovrà stare a distanza. “Mamma ma come si fa?”, diceva. Se è vero che dobbiamo seguire tutte le indicazioni per non diffondere il virus, è vero che queste indicazioni sono difficilissime da mettere in pratica perché senza relazioni non si può stare.
Con prudenza questo desiderio di socialità dovrà ricevere una risposta dai politici. Bisogna dire che ci sono alcuni personaggi della politica, di cui non voglio fare i nomi, che paiono punti dalla tarantola della visibilità come se fossero star dello spettacolo: questi, invece di fare proclami moralistici conditi a volte anche da parolacce, dovrebbero segnalare quali passi sostenibili possono essere compiuti assumendosi delle responsabilità concrete. “Can che abbia non morde” dice il proverbio. Che pare coniato proprio per quelle personalità che inondano di video i social, ma non danno multe e non prendono provvedimenti.
Il beato Ildefonso Schüster, cardinale di Milano, scriveva in una sua lettera che il vescovo che emana decreti impossibili da mettere in pratica si fa carico dei peccati di quel popolo che sanziona. Si capisce come queste parole si possano applicare, su un piano del tutto diverso, a quei governanti che rifiutano il compito di accordare la sensibilità dei medici a quella degli imprenditori e a quella di tutti gli altri, fino ad arrivare ai cittadini qualsiasi. Chi sbaglia di più? Chi eccede negli assembramenti pericolosi o i responsabili del bene comune che invece di emanare provvedimenti praticabili si limitano a video e a dichiarazioni acchiappa-like? Se dico una cosa e poi non ho il coraggio di sanzionare perché so di aver esagerato, che immagine della politica propongo? Oppure, se non faccio rispettare i decreti che ho emanato perché ho paura che lo share delle mie simpatie ne risenta, che rettitudine politica dimostro? È più facile dire “mando la polizia con i lancia fiamme” che comminare delle multe. Perché nessuno chiederà che venga messa in pratica un’affermazione paradossale, mentre invece il cittadino scontento potrebbe non votare il politico che lo ha multato.
Il problema non è di semplice soluzione ma per questo esiste chi fa il lavoro della politica. C’è bisogno di una classe di dirigenti della cosa pubblica che faccia qualcosa in più che stigmatizzare troppo rapidamente il bisogno dell’altro che c’è in noi.