Lo spettacolo, o meglio il ciclo di spettacoli, più interessante di questi mesi è la «trilogia» di Da Ponte-Mozart, messa in scena a Ravenna per celebrare i dieci anni dall’inizio del festival autunnale nella città adriatica diventata la Salisburgo italiana: Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, che si sono alternate sul palcoscenico del Teatro Alighieri, sera dopo sera, dal 31 ottobre al 6 novembre in due tornate.
Il ciclo, la «trilogia per eccellenza» del teatro in musica viene realizzato in collaborazione con due fra i teatri più antichi d’Europa, lo svedese Drottningholms Slottsteater e l’Opéra Royal de Versailles. In Italia verrà replicata al Teatro Verdi di Salerno; una delle tre opere, Don Giovanni, verrà messa in scena anche al Teatro Galli di Rimini. Verrà anche ripreso in vari teatri europei di prestigio (come il Lyceu di Barcellona). Per indicare l’interesse per questa messa in scena del ciclo, sufficiente dire che a Ravenna il 25% dei posti è stato venduto a pubblico straniero settimane prima dell’inizio delle rappresentazioni. Ci si è spostati da tutta Europa per assaporarlo.
Alla regia Ivan Alexandre; firma scene e costumi Antoine Fontaine, che con Alexandre cura anche le luci. «Sono titoli diversi, ma li portiamo in scena con coerenza estetica – sottolinea il regista Ivan Alexandre, che ha firmato lavori per la Staatsoper di Vienna, il Palais Garnier e la Mozartwoche di Salisburgo – raccontando la storia dello stesso personaggio: un libertino che chiamiamo Cherubino nella sua giovinezza, Don Giovanni in età adulta e infine Don Alfonso in età avanzata. Così il giovane innamorato dell’amore – come afferma lui stesso nel primo atto de Le nozze di Figaro – diventa un rubacuori che, una volta invecchiato, spingerà i giovani a replicare i suoi vizi di un tempo. È come se un cuore solo battesse in tre petti diversi, un ‘ciclo del desiderio’ in cui ogni titolo può esistere anche a sé stante ma il presentarne l’intera sequenza, oltre a creare un insieme coerente, conferisce un significato particolare a ciascuna delle tre opere. Sono tre momenti di vita amorosa realizzati con lo stesso materiale, drammi familiari in cui la vita quotidiana diventa una strabiliante avventura. Abbiamo voluto in qualche modo ritornare alla spontaneità dei teatri itineranti di un tempo: tavolini da trucco, servi muti e paraventi sono sparsi sul palco. Non ci sono quinte, nulla è appeso per aria (tranne qualche luce), non ci sono botole, solo poche strutture in legno e alcuni bozzetti su tele mobili».
L’allestimento delle tre produzioni non è soltanto un raffinato gioco che intreccia scena e fuori scena per celebrare la magnifica «macchina» del teatro musicale, ma anche un arguto commento ai diversi dispositivi narrativi che Mozart e Da Ponte impiegano.
Se ne Le nozze di Figaro la scenografia cresce di atto in atto e l’azione si svolge nella parte anteriore del palcoscenico, Don Giovanni, nell’originale versione di Praga del 1787 perché «più chiara, naturale e vivace», è invece rappresentato «in prospettiva». L’eroe occupa il primo piano, mentre gli altri personaggi – il valletto, le donne, il rivale… – si ritrovano sempre nella condizione di rimanere un passo più indietro rispetto al seduttore. Il protagonista si guarda alle spalle una volta soltanto, quando è colto dal dubbio per la prima volta nella vita, per pochi secondi, prima di scomparire. Infine, Così fan tutte ha un andamento circolare sviluppato su due livelli: il palcoscenico collettivo e un palcoscenico centrale, dove a turno le giovani sono amanti fedeli e abbandonate, i giovani i corteggiatori; un gioco delle parti, appunto, e dei ruoli che si invertono sotto lo sguardo di Don Alfonso, maestro di cerimonie: le interpreti femminili diventano spettatrici, gli interpreti maschili lo spettacolo.
Sul podio dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini Giovanni Conti, Erina Yashima e Tais Conte Renzetti, accomunati dall’essere stati allievi dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti. Antonio Greco guida invece il Coro Cherubini e il Coro 1685 dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “G. Verdi” di Ravenna. Tutti provenienti da percorsi d’eccellenza, i tre giovani direttori sono stati allievi dell’Accademia che Riccardo Muti ha creato nel 2015 per trasmettere alla nuova generazione di musicisti, ma anche al pubblico, la propria esperienza dello straordinario patrimonio dell’opera italiana (l’Academy torna al Teatro Alighieri di Ravenna dal 2 al 15 dicembre per concentrarsi sul Requiem di Verdi).
Erina Yashima, nata in Germania da famiglia giapponese, ha partecipato alla prima edizione della «ciclo autunnale» del Ravenna Festival successivamente è stata assistente di Muti a Chicago, essendosi aggiudicata la prestigiosa borsa di studio intitolata a Sir Georg Solti; dopo esser stata assistente direttore della Philadelphia Orchestra, ora è primo Kapellmeister alla Komische Oper di Berlino. Gli altri due direttori sono stati invece selezionati per l’edizione 2020 dell’Accademia. Giovanni Conti, originario di Varese, ha studiato a Milano e Stoccarda, aggiudicandosi il primo premio al concorso “CAMPUS dirigieren” tra i migliori studenti di direzione d’orchestra dei conservatori tedeschi; questa stagione lo vedrà assumere il ruolo di Kapellmeister del teatro di Krefeld-Mönchengladbach.
Tais Conte Renzetti è invece nata in Brasile e dopo gli studi a Vienna e in Italia è stata assistente del maestro brasiliano Martinho Lutero de Galati nell’ambito della sua associazione musicale Rete Culturale Cantosospeso a Milano.
Nel corso di quattro atti, la storia de Le nozze di Figaro si sviluppa (e si attorciglia) attorno al tentativo del Conte di Almaviva – il cui ruolo è affidato al baritono Clemente Antonio Daliotti, già brillante protagonista di Transitus nella Basilica di San Vitale nella sessione estiva del Ravenna Festival a giugno – di imporre lo ius primae noctis a Susanna (che ha il timbro inconfondibile di Arianna Vendittelli), cameriera della Contessa (Ana Maria Labin, acclamata interprete mozartiana) e promessa sposa del Figaro di Robert Gleadow, basso-baritono di origini canadesi). È invece il mezzosoprano italo-francese Lea Desandre a vestire i panni dell’indimenticabile Cherubino, tra le principali forze motrici del turbinio di mariti beffati, scaltre dame di compagnia, nobilastri…completano il cast Manon Lamaison nel ruolo di Barbarina, Norman D. Patzke in quello di Bartolo e Antonio, Valentina Coladonato in quello di Marcellina e Paco Garcia come Don Basilio e Don Curzio. Al fortepiano siede Lars Henrik Johansen, coinvolto anche per gli altri due titoli; i cori sono affidati alla compagnia di canto.
Don Giovanni tornano in scena Arianna Vendittelli e Robert Gleadow, rispettivamente come Donna Elvira e il servitore Leporello, mentre il protagonista eponimo è il baritono Christian Federici Il suo Don Giovanni, destinato a un finale infernale dopo le scorribande erotiche e non, tenta di sedurre con l’inganno la Donna Anna di Iulia Maria Dan (promessa al Don Ottavio di Julien Henric) e finisce per ucciderne in duello il padre, il Commendatore affidato al basso Callum Thorpe, che nella sua Inghilterra collabora con la Royal Opera House, Glyndebourne e Opera North. Nello spirito della Commedia dell’Arte, che prevede l’avvicendarsi degli interpreti in ruoli diversi, Thorpe interpreta anche il contadino Masetto, mentre la sua sposa Zerlina – anch’ella oggetto delle mire di Don Giovanni – è Chiara Skerath. In questo caso Antonio Greco guida il Coro Luigi Cherubini.
La scuola degli amanti a cui fa riferimento il titolo del Così fan tutte ha un solo maestro: Don Alfonso (di nuovo Christian Federici) è architetto della scommessa che si trasforma in crudele burla; sua esilarante complice è la cameriera Despina, ovvero Miriam Albano, mezzosoprano per anni solista alla Staatsoper di Vienna. I giovani ufficiali Guglielmo e Ferrando che scommettono sulla fedeltà delle loro fidanzate sono Robert Gleadow e Anicio Zorzi Giustiniani, recentemente al Ravenna Festival con l’Accademia Bizantina per Il Trionfo del Tempo e del Disinganno di Händel. Fiordiligi e Dorabella, che si fanno sedurre l’una dal fidanzato dell’altra, sono invece Ana Maria Labin e José Maria Lo Monaco, che – come Vendittelli e Zorzi Giustiniani – ha esordito al Ravenna Festival all’interno del progetto dedicato alla Scuola Napoletana.
Quindi, una «trilogia» di grande qualità. Mi auguro che venga prodotto un DvD anche per diffonderla tramite la televisione.