“Nonostante l’impegno profuso da entrambe le parti, UniCredit e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) comunicano l’interruzione dei negoziati relativi alla potenziale acquisizione di un perimetro definito di Banca Monte dei Paschi di Siena”. Con questo scarno comunicato del 24 ottobre UniCredit e il ministero dell’Economia hanno informato, dopo circa tre mesi, la conclusione dei negoziati per la privatizzazione di Mps, di cui ricordiamo lo Stato è azionista con il 64%. Notizie accolte con preoccupazione dal mercato e dalla Borsa che ha subito registrato una sensibile flessione dei rispettivi titoli.
Era la fusione più attesa. Invece, dopo numerose indiscrezioni e rumors, è arrivata l’ufficialità sulla rottura e l’annullamento delle trattative tra il Tesoro e il Gruppo bancario. Secondo quanto riportato da diverse fonti di stampa, l’esito negativo delle trattative sarebbe stato dovuto all’eccessiva distanza sui termini dell’aumento di capitale (per UniCredit più di 7 miliardi) e altri legati alla ristrutturazione (oltre 1,4 miliardi per arrivare a un totale superiore a otto miliardi mentre il Mef era disposto ad arrivare fino a 5 miliardi, incluso il beneficio di circa 2 miliardi da conversione delle DTA), oltre a divergenze sul perimetro di Mps da far confluire in UniCredit e sugli esuberi del personale.
Naufragata la trattativa, cosa lascia in piedi questo esito? Uno stallo della situazione e praticamente tutti i problemi irrisolti. A una settimana di distanza o poco più non si contano le analisi e i punti di vista di chi interviene al riguardo. Si leggono anche proposte e scenari sin troppo singolari e interessati, alcuni fantasiosi, che non cambiamo però la dura realtà delle cose.
Il Governo che riparte da zero e deve trovare una nuova soluzione per il futuro di Mps con la prima urgenza di avere più tempo dall’Unione europea. La scadenza del 31 dicembre è un traguardo non realistico per cedere la quota dello Stato in trattative così complesse. Il Governo ha in mano la partita che si gioca sull’asse Roma-Francoforte (sede della Bce)-Bruxelles. Il Tesoro probabilmente proverà a chiedere una proroga della cessione di almeno 6 mesi e ad attuare la ricapitalizzazione di Mps che prevede quanto prima un aumento di 2,5 miliardi di euro a condizioni di mercato. Non sarà quindi solo una questione di tempi ma anche di soldi e misure compensative, ovvero di risparmi e tagli di personale. Si proverà a convincere altri istituti e fondi a investire in Mps e avviare misure di rafforzamento operativo, già programmate nel tavolo con UniCredit. Saranno ridotti i rischi legali e ceduti altri crediti deteriorati.
Per Mps non si prospetta una soluzione a breve, la ricapitalizzazione si fa a questo punto urgente per poter andare avanti in autonomia. Era un’ipotesi avanzata nel caso che la banca non avesse trovato un acquirente, evento che poi si è verificato davvero. Un capitale necessario per mettere la banca in regola con i requisiti patrimoniali della Bce e portare avanti la ristrutturazione, tra vendita di crediti, accantonamenti vari ed esuberi (Mps ha oggi circa 21.000 dipendenti). Un futuro di autonomia risulta a oggi impensabile, serve un partner forte, provando nell’attesa a gestire la banca migliorandone l’efficienza e i bilanci.
UniCredit sostiene che quello che chiedeva non erano condizioni fuori mercato ma elementi che qualunque banca seria avrebbe posto: nessun impatto sul capitale, un aumento dell’utile, perimetro selezionato e niente cause legali. Era una occasione per rafforzare il settore bancario nel nostro Paese, creare quel secondo grande polo da molti auspicato dopo l’operazione Intesa-Ubi. Nelle intenzioni di UniCredit fare un’aggregazione sulla falsariga dell’operazione Intesa-banche venete. «La finestra che si era aperta per un accordo con Mps ora per noi è chiusa». Lo ha ribadito ilCceo di Unicredit, Andrea Orcel sottolineando di essere indirizzato ora su una strategia stand-alone: «Siamo ora focalizzati al 100% sulle nostre iniziative».
Per Unicredit intanto è arrivato anche l’appuntamento dei conti trimestrali. Il CdA del 27 ottobre ha approvato i conti dei primi nove mesi dell’anno che si sono chiusi con un utile netto pari a 3 miliardi di euro. Un dato assai significativo se si confronta con la perdita di 1,6 miliardi registrata lo stesso periodo del 2020. Nel solo terzo trimestre, UniCredit ha raggiunto un utile netto di 1,058 miliardi di euro, con un incremento del 55,6% rispetto allo stesso trimestre dell’anno passato. Un dato ben sopra le attese degli analisti, che si fermavano a 838 milioni.
L’ambizione della banca rimane quella di conseguire ritorni sostenibili superiori al costo del capitale lungo l’arco di un ciclo economico, ottimizzando la combinazione tra la crescita dei ricavi rettificati per il rischio, l’efficienza operativa e dell’efficientamento di capitale… Semplificazione, centralità del cliente e digitalizzazione restano le tre linee guida di UniCredit. E saranno il fulcro del nuovo piano strategico che sarà presentato il 9 dicembre 2021 per sostenere la stabilità e la crescita del Gruppo a lungo termine. E sarà interessante capire dove UniCredit vuole andare in Italia.
Intanto il caso Mps è arrivato in Parlamento, il primo a parlare è stato il Dg del Tesoro Alessandro Rivera che ha gestito la trattativa per il Ministero, a breve ci sarà l’audizione del Ministro Daniele Franco alle commissioni Finanze di Camera e Senato, cui seguiranno l’Ad di Mps Bastianini e di UniCredit Orcel che saranno ascoltati anche dalla Commissione bicamerale di inchiesta sul sistema bancario l’8 novembre alle 17:30 (dopo la chiusura dei mercati).
Si riapre quindi il riassetto del sistema bancario italiano in cerca di nuovi equilibri dopo questo stop. Cosa succederà? Chi sono i nomi di chi può entrare in gioco? Banco Bpm, Bper e UnipolSai da tempo sono sotto i riflettori e vengono indicati come i market movers di questa situazione. Le opzioni non mancano e il Governo con il controllo del Mps avrà un ruolo fondamentale nei prossimi mesi.
Serve un sistema bancario italiano che, nella fase post-pandemia, possa essere più che mai attore di rilievo nel sistema economico finanziario, contribuire alla ripresa, costruire un percorso verso una economia sostenibile e inclusiva e favorire un processo virtuoso. Ma per essere parte indispensabile della soluzione nel finanziare l’economia reale, il sistema deve essere sano, solido, meno frammentato e più efficiente.
E sullo sfondo c’è un importante cambiamento, a cui la pandemia ha fatto da detonatore tecnologico, accelerando il processo di trasformazione digitale, potenzialmente in grado di mettere in discussione tutto il sistema bancario italiano, come lo abbiamo visto e conosciuto sinora. L’avvento e lo sviluppo del Fintech, un modello di banca solo digitale, accompagnerà il futuro del settore ed è un altro aspetto del sistema che attende di essere governato e non lasciato al caso.
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