Come scrivevo su questa testata già il 6 agosto 2021 all’indomani dell’audizione del ministro Franco su Mps, i dubbi sul modus operandi legati a questo deal, come del resto anche ad altri deal gestiti dal Tesoro da inizio legislatura, sono parecchi.

Innanzitutto, e ripeto un concetto espresso nel precedente articolo sul tema, perché importante, il fatto di averci presentato l’operazione, così strutturata, come inevitabile e priva di alternative coniugato a un altro fattore che mi aveva destato perplessità ovvero la tempistica dell’operazione: troppa fretta nell’implementazione in un momento in cui la partecipazione del Mef non era stata ancora valorizzata al massimo. Prima del deal si sarebbero dovuti compiere dei passaggi anche semplici, quali, a titolo esemplificativo, l’internalizzazione delle fabbriche prodotto.



In audizione si era esclusa una richiesta di proroga oltre il 2021 alla Commissione europea della deroga che ha consentito al Mef di detenere il 64% delle azioni Mps. Non ne capivo le ragioni. La proroga avrebbe consentito una miglior negoziazione e magari l’apertura della data room a più soggetti e all’elaborazione di ulteriori progettualità. Ora apprendiamo che le negoziazioni tra Mef e Unicredit si sono interrotte e, leggo su Reuters che il Governo dovrebbe chiedere un’estensione della deroga. La riflessione che nasce spontanea è: non sarebbe stato meglio chiederla prima? Ma d’altronde è inutile, si sa, “piangere sul latte versato”.



Credo però che tale accadimento debba spingere a una riflessione, in particolare reputo che se le opinioni dei parlamentari fossero state ascoltate e valutate, forse per Mps si sarebbe trovata una soluzione e non un altro, ennesimo, ostacolo da superare, perché questo è lo spirito della democrazia rappresentativa.

Ma adesso, veniamo all’attualità. Unicredit ha presentato una buona trimestrale, presenterà un piano industriale ambizioso e il titolo in questi giorni non ha risentito, più di tanto, del mancato matrimonio. Il titolo di Mps, invece, sta continuando a scendere, e ritengo che il piano industriale, stante i fatti, non potrà essere più di tanto ambizioso, se le proposte provenienti dal Parlamento – ma anche da tanti players industriali e finanziari – rimarranno inascoltate.



Ma chiudo questo articolo con il mio ottimismo – che penso non debba mai mancare se si esercita un potere rappresentativo -: alla fine sono sicuro che faremo squadra per superare anche questo ostacolo. La Lega c’è.

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