Torniamo a parlare e fare il punto su Mps, lo abbiamo fatto spesso su queste pagine, perché oltre all’attualità e il peso nel sistema bancario italiano questa è una storia senza eguali: quella della distruzione di valore della più antica banca del mondo, in corso ormai da molti anni, e di un salvataggio che sembra non finire mai.
Non sono stati sufficienti 22 miliardi in 11 anni. Denaro principalmente pubblico con aiuti di Stato, aumenti di capitale per coprire il buco dei conti in rosso della banca. Lunedì 17 ottobre è partito l’attesissimo nuovo aumento di capitale di 2,5 miliardi, che si colloca in uno dei momenti storici più difficili per gli investitori (vedi le turbolenze sui mercati, alta inflazione, il rialzo dei tassi, l’assenza di un nuovo Governo, la situazione geopolitica con la guerra in Ucraina), con l’obiettivo di chiuderlo il 3 novembre dove gli ultimi tre giorni serviranno per regolare l’eventuale capitale inoptato. Tre settimane di tempo quindi per realizzarlo, poi venti mesi per studiare e concretizzare l’operazione di fusione che privatizzerà la banca come da impegni presi con l’Unione europea.
La settimana passata, quella antecedente il via all’aumento di capitale, è stata una delle più difficili nella storia di Mps, caratterizzata da incontri, riunioni e decisioni: una corsa contro il tempo per ottenere l’ok della Consob che ha esaminato le integrazioni e dato il via libera al prospetto, ultimo passaggio prima del 17 ottobre.
Il titolo è stato oggetto, ancora una volta, di forti vendite e anche il raggruppamento dei titoli Mps (uno ogni dieci) è stato mal accolto tanto che la Consob ha disposto il divieto di operazioni senza limite di prezzo. Il nulla osta della Consob è arrivato nel giorno in cui l’azione Mps ha chiuso a -42,1%, la volatilità dei mercati non ha aiutato un titolo sottile come Mps che porta anche a forti speculazioni.
Un’operazione “iperdiluitiva” con la capitalizzazione di Mps che si è quasi azzerata ancor prima di raccogliere i 2,5 miliardi, annullando di fatto il valore del capitale dei vecchi azionisti. Il prezzo di sottoscrizione è pari a 2 euro per ciascuna nuova azione, da imputarsi interamente a capitale, nel rapporto di 374 nuove azioni ogni 3 Mps possedute. Il controvalore massimo sarà pertanto pari a 2.499.331.296 euro. Il prezzo di sottoscrizione incorpora uno sconto pari al 7,79% rispetto al prezzo teorico ex diritto (cosiddetto TERP) delle azioni Mps.
Chi sottoscrive punta sul rilancio e l’attrattività di Mps in vista di una aggregazione con un’altra banca e l’uscita del Tesoro. È probabile che nel periodo dell’offerta si verifichi un forte sbalzo e una volatilità del prezzo delle azioni, per limitare ciò l’aumento sarà gestito con il modello “rolling settlement” che prevede dal terzo giorno la consegna anticipata delle azioni di nuova emissione. Mps incasserà subito e gli azionisti avranno titoli più stabili, ma chi non sottoscriverà perderà praticamente tutto. Questo aumento è una sorta di IPO, un aumento, come ha ricordato la Consob, che rappresenta il presupposto imprenscindibile insieme alla realizzazione del Piano industriale per la continuità aziendale. E anche gli operatori di mercato sembra abbiano compreso le potenzialità di un piano che può dare risultati e i suoi frutti.
All’operazione aderisce il Mef che ha il 64,23% del capitale e si è impegnato a sottoscrivere sino a un massimo di 1.605 milioni di euro. Al resto provvedono le otto banche che formano il consorzio di garanzia e hanno sottoscritto impegni sino a 807 milioni di euro. I fondi Algebris una quota di 50 milioni, mentre terzi investitori si sono impegnati per 37 milioni escludendo dal conteggio anche la quota retail dei singoli risparmiatori. I due partner industriali di Mps Axa e Anima hanno firmato impegni rispettivamente per 200 milioni e 25 milioni. Un impegno degli Istituti collocatori sull’inoptato è stato raggiunto solo all’ultimo. Ma intanto si è partiti e, nel primo giorno di mercato, sono crollati i diritti del 91,4% pari a 0,67 euro, effetto della diluizione e di un trading molto intenso.
È questo il primo tempo di una nuova partita molto dura per Mps.
Rimangono forti preoccupazioni e le incognite sul futuro. Sono molti gli incastri del puzzle Mps ancora da sistemare e gli obiettivi da raggiungere tra cui generare finalmente una reddittività robusta e stabile, utili pre tasse di 700 milioni nel 2024, una qualità del credito decisamente migliore con i rischi legali, eredità del passato, tutt’ora in piedi, superare le debolezze strutturali della banca.
Sul fronte lavoro e personale il target fissato per i prepensionamenti era di 3.500 dipendenti. Le domande di adesione agli esodi hanno superato le 4.000 richieste. Per questa operazione erano stati stanziati 800 milioni dei 2.400 dell’aumento. Un risparmio netto negli anni prossimi a partire dal 2023 di 270 milioni. Dar corso a tutte le richieste pervenute richiederebbe un contributo più alto, una tantum di 937 milioni, ma consentirebbe a partire da gennaio risparmi per oltre 316 milioni l’anno rientrando in tre anni dell’investimento richiesto.
Resta quindi molta strada da fare, un compito non facile per l’AD Luigi Lovaglio. Si spera intanto che la spinta al miglioramento dei conti continui, nonostante le incognite della recessione e dello spread.
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