Ai tempi del vecchio Re leone, ovvero prima metà degli anni ’90, i seguiti dei grandi successi Disney andavano direttamente nel mercato home video: accadde proprio per Il re leone 2 e 3 che uscirono in videocassetta e DVD. Ora si potrebbe pensare allo streaming, ma di fronte al successo clamoroso del remake fotorealistico del 2019, che incassò quasi un miliardo e 700 milioni, divenendo il film animato di maggio incasso di sempre (ora è secondo, superato da Inside Out 2), era impensabile non portare un nuovo film sul grande schermo.
E così, Mufasa – Il re leone arriva sugli schermi in tempo per le feste, e dopo l’altrettanto notevole successo di Oceania 2, trovata una giusta chiave narrativa: raccontare, attraverso la cornice di Rafiki che deve prendersi cura di Kiara durante un temporale, la storia del nonno Mufasa, padre di Simba, e della sua vita da “emarginato” dopo aver perso i genitori durante la piena di un fiume.
Cambia regista, il premio Oscar Barry Jenkins (Moonlight) al posto di Jon Favreau, ma non lo sceneggiatore Jeff Nathanson e nemmeno la tecnica di animazione digitale che tramuta il documentario National Geographic in un classico Disney con avventure, canzoni e le tipiche spalle comiche. Ora, detto che questa scelta estetica fa lustrare gli occhi al pubblico infantile, ma lascia freddi i più adulti, che faticano ad accettare lo scontro tra l’adesione naturalistica quasi ossessiva e le necessità di spettacolo iperboliche, finendo quasi per annullarsi a vicenda, i limiti di Mufasa sono tutti di tipo artistico, stanno nelle scelte fatte dai realizzatori.
Il racconto sembra nato dalla prima idea venuta in mente allo sceneggiatore, un ricalco passivo del prototipo che si inceppa a dover dare al pubblico tutti i personaggi che già amava (esiziali Timon e Pumbaa); le musiche orecchiano pigre i cliché della musica africana e le canzoni di Lin-Manuel Miranda paiono scarti senza grinta di Encanto; il ritmo pare sempre fuori asse, tanto nelle sequenze d’avventura quanto nei momenti emotivi.
A fare un sunto basterebbe dire che il film sembra un’opera senza regia, senza direzione, che sbaglia quasi di continuo e si perde in vaste di zone in cui non sa come catturare lo sguardo e l’attenzione. Almeno quelli del pubblico di accompagnatori, che l’amore dei bambini è messo in cassaforte.
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