È un lungo inverno quello che stiamo attraversando: inverno della fede, inverno della ragione, inverno del cuore. Un senzatetto di Como è stato multato per essersi allontanato dal proprio domicilio, un domicilio fittizio – sulla carta – che nella realtà non c’è perché la sua casa è una coperta con cui ogni notte s’accampa sotto i portici del centralissimo Liceo “Volta”. Eppure quel rifugio formalmente violava le regole del coprifuoco, rendendolo un nemico del popolo, un criminale, un antieroe.



Stessa sorta per alcuni poveri che a Genova erano in fila alla mensa di via Prè in attesa di un pasto caldo: non si è mai visto un povero disciplinato perché – per avere disciplina – occorre aver ricevuto amore, ordine e bellezza. Ma i poveri non hanno ricevuto niente e non hanno nulla da perdere. Per questo spesso dimenticano le mascherine, si assembrano, farfugliano fra loro. E i vigili hanno tempo a richiamarli con gentilezza: i poveri non comprendono, non sono abituati a sentire il linguaggio delle parole, ma solo i suoni dello stigma sociale e le frasi di un sistema che li rifiuta scartandoli. Un sistema cui appartengono i solerti vicini che, temendo che la fila fuori dalla mensa si confonda nel nugolo dello spaccio, chiamano più volte le autorità e intimano alla pubblica sicurezza di togliere lo scandalo del bisognoso, del sicuro untore. E chi di dovere, infine, esegue. Riportando pulizia, tranquillità, legge.



Nessuno che si domandi, che si chieda, come ci stia trasformando questo lungo inverno, che cosa stia succedendo alla nostra pietà, al nostro essere umani. Prima il potere ci ha lobotomizzato rendendoci consumatori, utilizzatori finali della realtà, buoni solo a produrre nel grande mercato globalizzato, poi le crisi di questo tempo – la crisi terroristica, la crisi migratoria e la crisi economica – hanno buttato sul lastrico quell’amore sociale che solo permette la costruzione della coesione sociale, della giustizia, della pace. E siamo rimasti soli con le nostre regole, le nostre leggi che tutto inquadrano, squadrano, squartano. La paura e l’individualismo hanno divorato anche gli ultimi postumi del cristianesimo. E il Covid ha messo il suo sigillo ad un’epoca cattiva, prigioniera di se stessa e del timore di spendersi e di donarsi.



Che cos’è rimasto se non un Io che, giorno dopo giorno, assomiglia sempre di più all’Ebenizer Scrooge di Dickens, incapace di sentire la gioia, il dolore e il grido del prossimo. Un lamento che turba l’ovattato mondo perbenista in cui i nuovi borghesi, borghesi negli affetti più che nei denari, costruiscono le loro sicurezze, lasciando alle generazioni future il prezzo da pagare, la strada da fare.

È a questo mondo senza Natale, non già per il virus quanto per la perdita di autenticità, che parla Francesco con i suoi ragazzi che in questi giorni stanno pensando in Vaticano ad una nuova economia, ad una società diversa, più libera, più responsabile. Ed è sempre a questo mondo del Natale presente che si rivolge il Banco Alimentare con la sua colletta nazionale, quest’anno tanto diversa eppure più preziosa. Perché smuovere il cuore conta molto di più che raccogliere tanti spiccioli, riaprire spazi di condivisione e solidarietà serve molto di più che tante affettate prediche sulla carità.

E allora in questo lungo inverno, che sembra sepolto dal virus della sfiducia e dell’assoluta autoaffermazione di sé, l’unica speranza è un gesto di inaudita gratuità. La venuta di un Dio che porti coperte ai senzatetto, ristoro ai poveri della mensa e consapevolezza a coloro che di questi poveri sono fratelli: tutti noi.

Tutti siamo dei bisognosi, tutti possiamo rimetterci in cammino e tornare a costruire con i mattoni del nostro lavoro e della nostra creatività: basta lasciarsi conquistare dal volto dell’altro, dal percorso misterioso di chi ancora non conosciamo. E che entra nelle nostre vite non per un interesse economico o sociale, bensì per portare misericordia. Per donare salvezza.

Visto da qui, da questo amore appassionato del Mistero per ciascuno di noi, anche l’inverno di Genova e di Como ha le ore contate. Basta solo lasciarsi ancora sorprendere da tutto, da quegli sguardi che non sono altro – per tutti noi – che il nostro Canto di Natale.

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