Un recente sondaggio condotto dalla Bce ha rilevato la sempre più frequente tendenza delle multinazionali a ricollocare le loro produzioni in paesi che fanno parte dell’UE o che sono considerati politicamente favorevoli. Si tratta di una sorta di inversione alla tanto criticata (e perseguita) globalizzazione, che nel corso degli anni scorsi aveva portato tantissime aziende a dislocare le sue produzioni, in molti casi in paesi dove la manodopera e i beni costano meno.



Secondo il sondaggio della Bce, su un campione di 65 multinazionali intervistate in UE, il 42% si è detto intenzionato a perseguire politiche di “friend-shoring“, ovvero la ricollocazione delle produzioni in paesi politicamente amici. Il 60% di queste, tuttavia, ha anche ammesso che questo tipo di decisione provocherebbe o ha provocato costi maggiori in produzione, che si sono poi ripercossi anche sui consumatori finali, ovvero alimentando l’inflazione. Secondo gli economisti della Bce, oltre a provocare un generale aumento inflazionistico, però, il fenomeno del friend-shoring potrebbe, a lungo termine, ridurre la produzione economica globale del 2%.



Bce: “Il mercato mondiale rischia di frammentarsi”

Insomma, sono sempre di più secondo la Bce le multinazionali che dopo aver spostato le loro produzioni all’estero, stanno decidendo di tornare a produrre in UE. Una tendenza alimentata sicuramente dalle più recente crisi geopolitiche internazionali, ma che finirà per incidere sull’economia mondiale, oltre che europea. Gli economisti, infatti, temono che il friend-shoring finirà per frammentare il mercato internazionale in blocchi distinti e non comunicanti, rendendo impossibile la concorrenza.

La stessa presidentessa della Bce, Christine Lagarde, pochi giorni fa ha avvertito che la frammentazione del mercato ha “contribuito al forte aumento dell’inflazione”. Un fenomeno che rischia di peggiorare ulteriormente tenendo conto del fatto della dipendenza da certi attori per determinate forniture, come nel caso delle materie prime critiche e della Cina. La frammentazione del mercato, infatti, renderà più tesi i rapporti tra le potenze, con l’effetto di rendere i prodotti nazionali più costosi. Infine, la Bce teme anche che queste scelte da parte delle multinazionali europee rischiano di ridurre i posti di lavoro, perché a fronte di minori vendite per via dei prezzi più alti, sarà necessario modificare i livelli produttivi.