Qual è l’unità di misura della vita? A sentire i dibattiti che si svolgono sui social media o nelle trasmissioni televisive, si direbbe che possa essere la lunghezza o la gratificazione. Eppure, la storia di Muriel Furrer racconta qualcosa di diverso. Morta ieri a soli 18 anni in un incidente durante una gara di ciclismo juniores, Furrer aveva registrato poche ore prima della morte un video che era – a tutti gli effetti – un grande grazie alla vita e a Gesù. La vita di questa ragazza si è compiuta nella gratitudine, indicando in questo atteggiamento di fondo ciò che consegna valore all’esistenza. L’uomo pretende lunghi giorni e condizioni di vita favorevoli. Chiama tutto questo felicità e si indispone se una di queste due dimensioni viene minacciata o gli viene tolta. È l’esito di una società che vede nella possibilità il vertice della libertà: se quella cosa non la posso fare, allora non sono libero. Muriel non potrà fare molte cose: vincere altre gare, sposarsi, avere figli. Eppure la sua gratitudine ha reso il tempo trascorso sulla terra come un tempo vivo, vero, compiuto.
Il punto non è quanto ci manca da vivere, ma quanto stiamo vivendo. Tutto ci può essere portato via in un istante, ma poco importa se noi lo abbiamo vissuto interamente, ponendoci domande capaci di farci entrare nelle profondità del mistero dell’esistenza. Nel suo ultimo filmato, Muriel sottolineava la forza che le dava il suo essere presente in quel luogo e in quel tempo. Addirittura su quel pianeta. La gratitudine non la si esprime per come vanno le cose (quante volte si è arrabbiati, insoddisfatti, un po’ frustrati). Sta tutta nel riconoscere di esserci, di abitare il mondo adesso, di poter esprimere la nostra libertà e quello che siamo in questo spazio di storia e di universo.
Nessuno vivrà più l’istante che stiamo attraversando adesso, ognuno è chiamato a decidere dove guardare, che cosa avere a cuore: la recriminazione o la capacità di dire grazie. Dispersi nell’inventario di quello che ci manca, diventiamo incapaci di riconoscere ciò che c’è. A richiamarci alla vita, alla sua verità, arriva così una ragazzina che muore con il cuore pieno di gioia, di umanità, di forza. La vita non è lo svolgersi di quello che abbiamo pensato, ma un dono, un rapporto unico e radicale che fa guardare ogni cosa – anche la morte – con attesa e speranza.
Muriel Furrer se ne va. Con la sua bici pedala per altre strade; con i suoi diciotto anni vigila su altre vite. Con la sua libertà lancia una sfida a chiunque. Decisa a mostrare che ciò che conta non sono il numero di anni che si vivono o i pensieri che si realizzano. Ma la possibilità che tutti abbiamo – in ogni momento – di dire, semplicemente, “grazie”.
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