Il 25 maggio, su invito del blog Vinonuovo , ho partecipato a un webinar  dal titolo “Musica blasfema? Achille Lauro a Sanremo e l’uso della religione nella musica e nell’arte”. Tra gli invitati, il vescovo della Chiesa di Ventimiglia – Sanremo, mons. Antonio Suetta. Il pastore, in una nota apparsa sul sito della diocesi, scrisse di un uso improprio dei simboli sacri al Festival della Canzone Italiana, di mancanza di rispetto e di blasfemia. Una diagnosi terribile a un corpo morente come la gara canora, asservita alle logiche della tv. Una presa di posizione su cui bisognava riflettere “a bocce ferme” per capire la reazione della Chiesa sanremese. Il seminario in internet ha offerto l’opportunità di farlo. Il vescovo ha spiegato i pericoli derivanti dall’ideologia gender che imperversa nella televisione pubblica e pubblicizzata durante il Festival, centrando la riflessione sul bisogno di dialogare con gli artisti e senza tradire l’appartenenza alla Chiesa, utilizzando l’arte come strumento di evangelizzazione.



“Nella mia vita sacerdotale ho fatto tantissimi campi estivi con i giovani” osserva il presule, “insieme agli educatori, si sceglieva una canzone. Mi ricordo una canzone di Ligabue: ‘Dicono che noi ci stiamo buttando via / Ma siam bravi a raccoglierci’, la trovavo interessante”. Non sempre d’accordo con i cantanti ascoltati dai suoi ragazzi in discernimento vocazionale, mons. Suetta dimostra quanta curiosità gli suscita la musica contemporanea. Discute del bisogno di distinguere la fede che coinvolge una persona dalla spiritualità invece abbozzata in molte canzoni. “I temi della fede per il credente costituiscono un tesoro relativo alla propria vita, un tesoro che va a toccare aspetti esistenziali che sono decisivi, come le grandi scelte vocazionali che si fanno e più ancora che riguardano momenti critici come lo smarrimento o i momenti del dolore.”



Il monsignore non ha interesse a discutere su Achille Lauro, difende invece l’esperienza della fede, che si pone come luce, come risposta e che entra a far parte dell’esistenza umana. L’attenzione al webinar è tutta su di lui: “Su Achille Lauro e su quello che vuol dire con le sue canzoni o con le sue performance non ho molto da dire, non lo conosco come personaggio. Prendendo le sue espressioni ad una ad una, posso anche avere qualche spunto di riflessione e aprire una discussione. Come pastore sono preoccupato dell’ideologia gender che ha attraversato tutto il Festival di Sanremo, con un’insistenza e una pervasività che è la dimostrazione chiara di quello che chiamiamo pensiero unico.” Il No a un’ideologia secondo la quale non esisterebbe alcuna differenza tra uomini e donne, mentre il sesso si può scegliere a proprio piacimento, lo ha scritto il Vaticano. Nel testo intitolato “Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione”redatto dalla Congregazione per l’Educazione cattolica, si ribadisce che le teorie gender rappresentano “un processo progressivo di de-naturalizzazione o allontanamento dalla natura verso una opzione totale per la decisione del soggetto emotivo. In parole semplici, conta la libertà del sentire e del volere, che la natura dell’essere. 



La ricerca di senso al di fuori del recinto cattolico è legittima, ma faremmo un torto alla verità se non dicessimo con franchezza ciò che pensiamo e in difesa di ciò che professiamo. Nell’arte ci sono opere che non favoriscono un contatto autentico con Dio, piuttosto un’immersione nelle depressioni degli artisti. Nella nota sull’ultima edizione del Festival, il vescovo difende la fede dei piccoli. La voce paterna del Signore parla a coloro che ancora non sono del suo ovile e ammonisce indirettamente quei credenti omertosi di fronte alle offese rivolte ai cattolici. Non sono mancate critiche sul contenuto della lettera. Quell’uscita avrebbe potuto alzare un muro invalicabile con i laici.

Ebbi la percezione dello smarrimento del popolo la domenica successiva alla finale della kermesse. Andai in cucina in convento e trovai inviperita la cuoca a servizio nella mia comunità. Mi disse: “Hai visto che schifo in tv? Hai visto quello che sembrava Gesù in croce? E quell’altro vestito come la Madonna dei sette dolori? Ho cambiato canale, ero disgustata. Ma dove sono finiti i cantanti e le belle canzoni di una volta?” Come critico musicale spiegai su queste pagine il senso delle esibizioni di Achille Lauro, evitando di entrare nella baruffa. Il ruolo del critico musicale è di tradurre il linguaggio della musica, di commentare le canzoni e i cantanti al grande pubblico, rispettando alcuni canoni: una canzone racconta una verità, fa desiderare qualcosa? Chi la canta è autentico, credibile? Una chef dietro ai fornelli dimostrò d’essere capace non solo d’addomesticare il mio diabete… fece intendere che le bestemmie non fanno parte del suo dizionario né vorrebbe aggiornarlo con nuovi lemmi. Sfogò il disagio nel vedere Achille Lauro e Fiorello deridere la sua fede semplice. Fu cruciale per prendere coscienza che i cantanti, gli attori e gli organizzatori del Festival per davvero l’avevano fatta fuori dal vaso.

Molti cantanti sono algoritmi umani in grado di programmarsi autonomamente in base alle mode del momento e all’audience da raggiungere, prodotti dell’industria discografica che pianifica scandali per piazzare la merce, sé stessi. La gran parte della produzione musicale in Europa è livellata verso il basso. Il rock che non muore mai in realtà ha perso la sua forza propulsiva trent’anni fa con la morte di Kurt Cobain dei Nirvana. Deturpato, saccheggiato, riciclato dal pop e dalla dance, è diventato una cornice dove inserire finte trasgressioni di cui nessuno sente più il bisogno. Basta un test antidroga a un cantante per dimostrare il contrario di ciò che ha urlato in diretta televisiva all’Europa. Gli Skiantos lo cantano: “La maggior parte degli artisti sono raramente molto onesti”.

Quasi sul finire del seminario in diretta streaming, il vescovo ha evidenziato il significato etimologico di “blasfemia” per descrivere le sensazioni derivanti dal festival: è “il rovinare la fama” cioè Dio non è così. Una canzone o un’esibizione al Festival non possono avere la pretesa di definire Dio. Dichiara che la sensibilità religiosa del popolo è stata mortificata in un momento in cui tutti soffriamo a causa della pandemia. Il vescovo Antonio chiude così il suo intervento: “Penso ai morti malati, penso ai contraccolpi sociali. Il male e la sofferenza nel mondo purtroppo non sono una novità, ma questa pandemia ci ha resi sensibili al dolore e vulnerabili allo stesso modo.” Al festival tutto è apparso eccessivo, eravamo pure nella Settimana Santa, in Quaresima. Ripensandoci, mentre guardavamo Sanremo ci siamo dovuti proteggere da una raffica di proiettili sparati sulla nostra casa, la Chiesa. Per grazia ricevuta, siamo ancora vivi.