Con la fine di gran parte delle restrizioni dovute alla pandemia, sono riprese numerose attività musicali, come d’altronde si constata leggendo questa testata. Il vostro chroniqueur, al pari degli altri del mestiere, è costretto ad essere selettivo. Quindi, non ha seguito tanto quanto avrebbe voluto il festival Musica d’Amare, organizzato dall’Accademia Filarmonica Romana, nei bei giardini della Casina Vagnuzzi, accanto a Piazza del Popolo ed a Villa Borghese, ossia nel cuore della capitale. E’ un festival low cost ma high quality che punta su esecuzioni di lavori raramente presentati e che ha un forte accento internazionale in quanto organizzato in collaborazione con le Accademie e gli Istituti di cultura presenti a Roma che offrono un panorama di novità e di prime esecuzioni per l’Italia.
Dal 13 giugno al primo luglio, ci sono stati due concerti per sera. Il primo alle 20 nella piccola ma graziosa Sala Casella, il secondo alle 21,30 nell’affascinante teatro all’aperto del giardino. Tra il primo ed il secondo concerto, chi voleva poteva fare una rapida cena in un ristorantino self service organizzato nei giardini con piatti italiani e medio-orientali al modico costo di circa dieci euro a testa.
Sono stato ai due concerti finali del primo luglio. Il primo concerto aveva il titolo di Foreign Homes e ne era protagonista l’ARS Lituanica Trio (Dalia Dėdinskaitė violino, Gleb Pyšniak violoncello, Tadas Motiečius fisarmonica). Era un omaggio al patrimonio musicale degli ebrei lituani, chiamati Litvak. Ai primi del 1300, il Granduca Gediminas invitò nel Granducato di Lituania in via di espansione gli ebrei da tutta Europa. Migliaia di ebrei perseguitati trovarono qui un rifugio sicuro per la crescita della loro cultura e religione. Quando Napoleone nel 1812 arrivò in Lituania, soprannominò Vilnius la “Gerusalemme del Nord”. Nel corso di 600 anni, gli ebrei lituani rappresentarono uno dei pilastri dello sviluppo della Lituania e dei paesi limitrofi, fino a quando l’olocausto spazzò via tragicamente il 95% della popolazione ebraica che viveva in Lituania. Ciononostante, ad oggi i discendenti dei Litvak continuano a svolgere un ruolo di primo piano.
Uno dei contributi più significativi lo troviamo nel patrimonio musicale. Musicisti e compositori come Leopold Godowsky, Jascha Heifetz, Aaron Copland, David Geringas, i fratelli Livschitz, Julian Rachlin, Anatolijus Šenderovas sono di origine lituana o sono nati e cresciuti in Lituania. L’idea di questo concerto è un tentativo di unire passato e presente, seguendo le orme del patrimonio musicale dei Litvak.
Il concerto comprendeva otto brani trascritti per la esecuzione da parte del trio. Alcuni sono di noti compositori americani di ascendenza lituana (Copland, Gershwin, Goodman, Heifetz), altri del russo Cui (nato a Vilnius) e del messicano Manuel Ponce. Spicca il lituano Anatolijus Šenderovas nato nel 1945 e quindi sfuggito all’olocausto. Più che commentare i singoli brani – splendido l’adattamento del notissimo Summertime di Gershwin) credo sia importante notare come i tre giovani esecutori abbiano saputo riportare il clima della cultura ebraica della prima metà del Novecento, rendendo ad esempio ballabili alcuni brani che non sono nati tali. Grande successo; alla richiesta di bis, il Trio ha risposto con un brano pieno di ritmo di Benny Goodman.
Nel secondo concerto, una formazione nota ed apprezzata, I Solisti Aquilani, ha eseguito Le quattro stagioni di Vivaldi (violino solista Daniele Orlando). Non è stata un’interpretazione filologica quali quelle che da studente liceale ascoltavo nei concerti dell’ensemble di Renato Fasano, uno dei pochi (con Casella, Dallapiccola e Malipiero) che dopo decenni di romanticismo e verismo, si battevano per fare conoscere al pubblico le meraviglie musicali del Seicento e del Settecento. E’ una lettura nuova e altamente drammatica di cui esiste già un CD disponibile sulla piattaforme Spotify, da cui è stato scaricato 4,5 milione di volte (un enorme successo). La chiave interpretativa va oltre la tradizionale prassi esecutiva: è una riflessione sul ruolo dell’uomo rispetto all’ambiente, “un invito a un rinnovato rispetto per la natura che ci ospita e che troppo a lungo abbiamo devastato” come raccontano gli stessi musicisti. Ispirate da questa lettura sono le poesie che le scrittrici Dacia Maraini e Donatella Di Pietrantonio hanno voluto dedicare ai Solisti Aquilani, una sorta di ‘versione contemporanea’ dei Sonetti (pare scritti dallo stesso Vivaldi) che nel Settecento venivano stampati insieme alle Quattro stagioni. Una lettura coinvolgente ed appassionante, da non raffrontare, però, con quelle filologiche.
A Vivaldi, vengono affiancate altre stagioni, di un’altra epoca, di un altro emisfero, composte a 250 anni di distanza: sono Las cuatro estaciones porteñas di Astor Piazzolla, in cui il musicista argentino descrive il sentimento del passare del tempo per gli abitanti di Buenos Aires. Esplicito il riferimento a Vivaldi, le cui Stagioni venivano riscoperte proprio verso la metà del secolo scorso. Scritte tra il 1965 e il 1970, le Estaciones nascono come pezzi a sé stanti, composte da Piazzolla per il quintetto di cui era bandoneonista. Sono uno dei migliori esempi del nuevo tango, con echi di musica classica e jazz. Il brano di 25 minuti è stato presentato nella trascrizioni per violino e orchestra d’archi di Luis Bacalov, scritta per il violino solista di Sonig Tchakerian che lo ha eseguito anche in quest’occasione. Anche in questo caso, il lavoro è molto drammatico e risponde all’indole di Bacalov, il cui Estaba la Madre è stato un grande successo diversi anni fa (al Teatro dell’Opera di Roma nel 2004).
Molti applausi.
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