L’itinerario del cristiano alla ricerca di Dio pone delle priorità che la visione di papa Ratzinger ha messo in particolare e inaspettata evidenza nel discorso parigino del 12 settembre al Collège des Bernardins. L’impianto teologico, pur rigoroso, fa da sfondo a una meditazione che di fatto condivide un’esperienza vissuta di fede. Nell’avventura dello spirito alla ricerca del Volto affiorano precise indicazioni che derivano da san Paolo e dalla teologia cristiana che con Agostino e altri Padri ha saputo rileggere le speculazioni del mondo greco. Benedetto XVI tuttavia non s’inoltra in un terreno di mere speculazioni filosofiche. Egli ha di fronte, concreta, la persona di Cristo. Si pone in un atteggiamento d’adorazione e cerca di illuminare il cammino lasciandosi guidare da due momenti particolari che hanno segnato la corsa gloriosa della Parola nella storia: il monachesimo latino e il canto.
Insistente è il riferimento allo statuto monastico benedettino. Nella tradizione benedettina si sottolinea con forza il primato della ricerca di Dio quale criterio di discernimento della vocazione battesimale: cercare Dio non con la sola capacità del pensiero intellettuale, ma revera, con la verità della persona globale che tutta si protende fuori di sé per vedere le tracce di Dio, contemplare il suo volto e sentirne la voce.
È intorno al mistero del Verbo abbreviato – nell’incarnazione e nella Parola – che si gioca l’incontro tra Dio e l’uomo. Incontro sempre inserito nel contesto della comunità ecclesiale. Dio muove i primi passi, l’uomo accoglie le sollecitazioni e si mette in movimento per dare una risposta con il silenzio attonito dell’adorazione, con le parole che Dio stesso ha posto nel cuore umano illuminandone l’intelligenza razionale. “Nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui”.
A questo punto entra in scena la musica che il teologo Ratzinger aveva già compreso quale autentica e primaria apologia della fede. Nella visione sintetica di papa Benedetto, “Per pregare in base alla Parola di Dio il solo pronunciare non basta, esso richiede la musica”. La comprensione del canto avviene in una prospettiva mistica che allarga l’orizzonte e colloca l’orante nel contesto cosmico della creazione rinnovata: la liturgia vissuta nel profondo del cuore si realizza nei gesti concreti delle celebrazioni della Chiesa. Ma non basta. Occorre “pregare e cantare in maniera da potersi unire alla musica degli Spiriti sublimi”, nella fusione delle lodi e delle invocazioni che salgono dalla terra ed echeggiano nei cieli.
La musica non è soltanto un fatto culturale e tecnico. All’interno della liturgia nasce “l’esigenza intrinseca del parlare con Dio e del cantarLo con le parole donate da Lui stesso” ed è così che “è nata la grande musica occidentale”. Papa Benedetto propone subito anche un criterio per districarsi nella produzione musicale odierna. Come già in passato, anche oggi occorre “riconoscere attentamente con gli ‘orecchi del cuore’ le leggi intrinseche della musica della stessa creazione, le forme essenziali della musica immesse dal Creatore nel suo mondo e nell’uomo, e trovare così la musica degna di Dio, che allora al contempo è anche veramente degna dell’uomo e fa risuonare in modo puro la sua dignità”.
Chi a vario titolo (compositore, cantore e interprete, ascoltatore) si trova nella liturgia, di fronte al canto sa di essere impegnato in un momento che vive di bellezza, ma trascende un fatto puramente estetico. La singola persona è coinvolta tutta. Deve lasciare che la musica metta in vibrazione corpo e spirito, non in un compiacimento solitario, bensì in un aprirsi senza riserve agli altri e all’Altro. Allora il canto deporrà paradossalmente la componente musicale e lascerà affiorare nella sua integrità la Parola. Perché, dice ancora papa Benedetto XVI “esistono dimensioni del significato della Parola e delle parole, che si dischiudono soltanto nella comunione vissuta di questa Parola che crea la storia”.



(Giacomo Baroffio)

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