Nell’anno che celebra il centenario della nascita del grande compositore francese Olivier Messiaen (1908-1992) molti sono stati i contributi sulla figura dell’uomo e del musicista.
In questo articolo cercheremo di rintracciare alcuni degli elementi fondamentali del pensiero e della prassi compositiva del Nostro esaminando una delle sue opere più celebri (e, aggiungiamo, a nostro parere una delle pagine più belle dell’intero panorama musicale del XX secolo): il Quatuor pour la fin du Temps (Quartetto per la fine del Tempo).
Composto durante la drammatica detenzione dell’Autore nel campo di prigionia di Görlitz in Slesia (la pagina porta in calce la data del gennaio 1941) il Quatuor ebbe una prima esecuzione tra le più singolari: il 15 gennaio 1941, di fronte ad un uditorio composto da tutti i prigionieri dello Stalag VIII A (circa 5000 persone), l’Autore sedeva al pianoforte, Jean Le Boulaire suonava il violino, Etienne Pasquier il violoncello ed Henri Akoka il clarinetto.
È lo stesso compositore a riferirci il clima della première: «non sono mai stato ascoltato con tanta attenzione. Il freddo era atroce, lo Stalag sepolto sotto la neve. I quattro strumentisti suonavano su strumenti rotti: il violoncello di Etienne Pasquier aveva solo tre corde e i tasti del mio pianoforte verticale una volta abbassati non si rialzavano. I nostri abiti erano inverosimili: ero stato rivestito con una giacca verde completamente strappata e portavo degli zoccoli di legno…».
Al di là delle drammatiche circostanze esteriori della sua composizione ed esecuzione il brano si presenta come una profondissima riflessione sulla condizione umana intesa come costantemente in bilico tra essere e nulla, tra senso e assurdo, tra beatitudine e dannazione.
È infatti la libertà dell’uomo con il suo terribile carico di rischio (ognuno in ogni istante deve scegliere tra l’affermazione dell’essere – la vita ha un significato – o del nulla – l’esistenza è un susseguirsi di casi assurdi) porta Messiaen a riflettere sulla destinazione ultima del singolo e dell’intera umanità. In tale direzione la scelta operata dall’Autore di prendere come elemento ispiratore l’Apocalisse di Giovanni assume un significato assolutamente chiarificatore.
Partendo dalla citazione di un frammento lievemente manipolato del testo giovanneo («E vidi un angelo, forte, scendere dal cielo, avvolto in una nube; l’arcobaleno era sul suo capo, la sua faccia era come il sole, le sue gambe come colonne di fuoco, […]. Pose il piede destro sul mare, e il sinistro sulla terra, e […] tenendosi ritto sul mare e sulla terra, alzò la mano […] al cielo, e giurò nel nome del vivente per i secoli dei secoli […] dicendo: “Non vi sarà più altro tempo! Nei giorni del suono del settimo angelo si compirà il mistero di Dio, […]”») Messiaen articola un percorso suddiviso in otto movimenti (il numero otto è da sempre considerato, nella simbologia cristiana, legato all’eternità, essendo l’ottavo giorno quello della definitiva vittoria di Cristo sulla morte) strettamente collegati tra loro.
1.Liturgie de cristal (Liturgia di cristallo)
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Scrive l’Autore nel commento anteposto alla partitura: «Tra le tre e le quattro del mattino, il risveglio degli uccelli: un merlo o un usignolo solitario improvvisa un canto, circondato da uno scintillio di suoni, da un alone di trilli che si perdono alti tra gli alberi. Si trasponga tutto ciò su un piano religioso ed ecco che si ottiene l’armonioso silenzio del Paradiso».
Questo movimento iniziale (Ben moderato) ci introduce nel clima e nella sostanza problematica che costituirà l’asse portante dell’intera composizione. Qui troviamo infatti una prima folgorante ed icastica esposizione di una questione nodale per l’intera poetica messiaenesca: il rapporto tra il tempo e l’eternità. L’Autore, lungi dal sottoporci astratte riflessioni filosofiche, rende immediatamente percepibile ed esperibile dall’ascoltatore l’inaudito rapporto che lega la durata misurabile e l’incommensurabile libertà dell’eterno. Nella partitura infatti il quartetto strumentale viene diviso in due gruppi: il pianoforte e il violoncello articolano una complessa sequenza musicale che, nella sua inafferrabile e irregolare pulsazione (frutto di un raffinatissimo processo di elaborazione ritmica ed accordale), sembra mimare la complessità talvolta apparentemente inestricabile del vivere nel tempo, esperienza carica di contraddizioni e di domande che rimandano a un insondabile mistero; di contro il violino e il clarinetto articolano una serie di fantasiosi e iridescenti disegni ispirati alla sovrana libertà del canto degli uccelli (è questa la prima volta in cui all’interno dell’opera del Nostro troviamo un esplicito richiamo alla tematica ornitologica che tanto lo interesserà nel seguito della sua produzione), simbolo evidente di una dimensione altra, non più sottoposta alle leggi di questo mondo ma stranamente corrispondente a quell’anelito di pienezza cui il cuore aspira. È il radioso mistero della natura e della bellezza che qui trova voce in una sorta di doppia celebrazione (vera e propria liturgia cioè “azione del popolo”, in questo caso rappresentato dall’intero cosmo) oscillante tra la miseria terrena che incessantemente aspira al definitivo compimento di ogni desiderio e l’inaudita, affascinante risposta che proviene da una dimensione nel contempo mondana e trascendente.
È interessante considerare in proposito come il procedimento dell’Autore sia illuminante sotto il profilo dell’esperienza di ciascuno: partendo da una condizione di insicurezza e contraddizione il cuore dell’uomo avverte un’insufficienza che, attraverso l’incontro con una realtà donata e misteriosamente corrispondente ai più intimi moti dell’animo, si trasforma in speranza, in un fiducioso sì alla vita che è capace di abbracciare qualunque dolore o sconfitta.
2.Vocalise pour l’Ange qui annonce la fin du Temps (Vocalizzo per l’Angelo che annuncia la fine del Tempo)
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Scrive l’Autore: «La prima e la terza sezione (molto brevi) evocano la forza del possente angelo, incoronato da un arcobaleno e vestito di nubi, che posa un piede sul mare e un piede sulla terra. Nella sezione centrale ci sono le impalpabili armonie celesti. Al piano dolci cascate di accordi blu-arancio, che abbelliscono con la loro sonorità distante la melopea quasi da canto piano del violino e del violoncello».
L’apertura del secondo movimento (Robusto, moderato poi Vivo, gioioso) si caratterizza per l’immediata potenza fonica (gli strumenti si muovono con un intensità che oscilla tra il fortissimo e il triplo fortissimo) che evoca con incredibile icasticità la figura dell’angelo che domina l’intero campo visivo facendo intendere la sua voce di tuono e contemporaneamente l’urgenza del messaggio di cui è portatore.
In questa prima sezione ai granitici accordi del pianoforte si sovrappongono due diversi strati sonori: da un lato i liberi disegni del clarinetto (ancora una volta dal sapore “ornitologico”) che ci aiutano a stabilire un interessante parallelo con il primo numero della partitura (scopriamo ora che la voce degli uccelli è, come insegna una antichissima tradizione, anche voce dell’Angelo) e dall’altro la rigorosa e tesa melodia di violino e violoncello (che procedono eseguendo la stessa linea a distanza di due ottave) (es. 1) strutturalmente simile a un imprescindibile e fondamentale messaggio che non si può non comunicare all’umanità intera (in tale direzione il regolare movimento ritmico dei due strumenti è altamente eloquente).
Es. 1 (violino batt. 3)
La seconda sezione (Lento, impalpabile, lontano) si presenta fin dall’esordio immersa in un clima espressivo antitetico. La lenta melopea di violino e violoncello (sempre disposti a distanza di due ottave) è accompagnata da una iridescente cascata di accordi pianistici che la arricchiscono di sonorità diafane. Qui ci viene mostrata la natura incorporea e mistica dell’Angelo, creatura di luce e specchio dello splendore divino. A uno sguardo più attento però una nuova sorpresa ci attende: la melodia che dipinge l’angelo in sé riprende testualmente le note del tema dell’ “appello pressante” (sempre esposta da violino e violoncello) nella prima sezione.
Es. 2 (violino batt. 19/21)
Ancora una volta Messiaen è riuscito a fondere espressione musicale e riflessione teologica: l’Angelo è infatti nella sua sostanza definito dal suo compito (le note del messaggio sono le medesime della sua “descrizione” interiore)! L’Autore ci mostra dunque che l’intero Creato è tramato nella sua sostanza ultima da una Volontà amorosa e che la libertà (ed il vero volto) di ciascuno consiste nell’accettare il proprio compito e la propria missione, come per l’Angelo apocalittico di questo secondo movimento. Ritroviamo dunque qui, trasfigurata, la ineludibile riflessione sulla scelta (propria di ogni istante) che ognuno non può non compiere.
3.Abîme des oiseaux (Abisso degli uccelli)
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Scrive l’Autore: «L’Abisso è il tempo, con le sue tristezze, i suoi scoramenti. L’uccello è il contrario del Tempo; è il nostro desiderio di luce, di altezze, di arcobaleni, di canti gioiosi!». Dopo la contemplazione della potenza e bellezza dell’Angelo il terzo movimento (Lento, espressivo e triste/Vivo, gaio, capriccioso), affidato al solo clarinetto, ci immerge in un’atmosfera di segno opposto e percorsa da tensioni divergenti.
Il tema è qui rappresentato dal rapporto tra il tempo e l’Eternità, essendo il primo luogo di affanni e di attesa e la seconda sede della definitiva realizzazione di ogni aspirazione umana.
A livello musicale i due poli non sono propriamente giustapposti in quanto tra i diversi atteggiamenti musicali (la tristezza del tempo e la libera gioia dell’Eterno) Messiaen inserisce elementi di transizione che stanno a indicare come il rapporto tra queste due dimensioni non è di reciproca esclusione, ma di (misteriosa) consequenzialità.
A un inizio evidentemente gravato dalle pesantezze del tempo (con le sue ripetizioni e la sua stanchezza) segue un gesto musicale di incredibile fascino, un crescendo su una sola nota che, partendo da silenzio, raggiunge lentamente il quadruplice fortissimo. È la mimesi perfetta di un processo di trasformazione (potremmo dire quasi un’epifania) per cui il grigiore del tempo viene illuminato, trafitto da una nuova presenza che dona significato a ogni istante dell’azione. È naturale quindi che tale imperioso gesto introduca una nuova sezione, interamente dominata dal capriccioso e inafferrabile canto degli uccelli, in cui a dominare è la luce e l’assoluta libertà di quella vita angelica che abbiamo già conosciuto come felice perché interamente obbediente al compito assegnatole.
L’affresco approntato dall’Autore riesce così ancora una volta a dare corpo sensibile a una condizione in cui i termini sono costantemente in bilico tra l’effimero e il trascendente, mostrandoci attraverso il suono e la sua articolazione la necessità (che vedremo esemplificata magistralmente nelle due Louanges successive) di un evento che permetta l’intersezione tra questo mondo e la sua Verità definitiva.
(continua…)