4.Intermède (Intermezzo)


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Scrive Messiaen: «Scherzo, di carattere più superficiale degli altri movimenti, ciononostante ricollegato a questi da certe reminiscenze melodiche!».
Il quarto movimento (affidato a violino, clarinetto e violoncello) è in realtà il primo composto dall’Autore nel campo di concentramento e a un ascolto superficiale sembra un semplice momento di “decompressione” emotiva e concettuale dopo le imponenti riflessioni dei primi tre episodi.
Pur non negando questo aspetto ci sembra di poter ravvisare nell’Intermède un essenziale tassello nel percorso del Quatuor. L’aspetto giocoso e quasi danzante del breve brano è infatti la logica conseguenza delle “scoperte” effettuate nei primi tre movimenti: le contraddizioni di questa vita (del tempo) hanno una possibilità di riscatto nell’incontro con una realtà che collegando in sé tempo ed Eterno indica – nell’attesa che è già speranza – una possibile realizzazione dell’inesausta tensione dell’uomo verso la sua definitiva realizzazione. In questo senso dunque le citazioni di movimenti precedenti (particolarmente evidente quella del clarinetto che si rifà all’inizio del secondo pannello della composizione) e l’anticipazione di quelli futuri (verso la metà del brano compare un motivo che ritroveremo nella Danza, sesto episodio del Quatuor) assume un significato evidente: ciò che è accaduto, ciò che ho visto e udito (il percorso musicale precedente) è motivo di speranza, di attesa (l’anticipazione di eventi musicali successivi). All’intersezione di questi due piani temporali Messiaen pone dunque un brano che simboleggia la letizia nella speranza, una letizia che, senza dimenticare nulla, vede in tutto ciò che è ed è stato il germe positivo di un desiderio che avrà compimento certo.




5.Louange à l’Éternité de Jesus (Lode all’Eternità di Gesù)


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Scrive l’Autore: «Qui Gesù è inteso soprattutto come il Verbo. Una grande frase, infinitamente lenta, di violoncello, magnifica con amore e riverenza l’eternità di questo Verbo dolce e potente, “che gli anni non possono consumare”. Maestosamente la melodia s’appiana, in una sorta di lontanza tenera e somma. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”».
Una pacata e dolcissima melodia ci introduce nell’atmosfera intimamente raccolta del quinto movimento (Infinitamente lento, estatico), affidato al solo violoncello accompagnato dal pianoforte. La riflessione messiaenesca trova qui un punto focale: i barlumi di Grazia disseminati nella partitura si coagulano intorno al loro centro radiante, la figura di Cristo, Verbo eterno.
L’intensa meditazione sulla divinità del Figlio (e sulla Sua eternità) assume qui i contorni di una distesa melodia che poggia su un tappeto di accordi ribattuti del pianoforte. L’Eterno ci appare come sempre identico (il costante ritmo in semicrome dell’accompagnamento) ed eternamente cangiante, proteiforme, sostanza ultima e modello di tutto il Creato. La pagina, impregnata di una pace realmente ultraterrena, ci porta nel seno della ineffabile semplicità divina attraverso un espediente metrico di grande forza evocativa: il brano infatti non riporta alcuna indicazione di misura (2/4, 3/4 o simili) ma scorre attraverso battute dalla durata continuamente cangiante. Il Verbo Eterno è sovranamente libero ed articola il suo canto secondo uno schema irriducibile alla misura umana. Ciononostante l’impressione che ricaviamo è quella di un luogo in cui è davvero possibile trovare riposo e conforto, nell’amorosa comunione con Colui che è il compimento di ogni speranza terrena.




6.Danse de la fureur pour les sept trompettes (Danza del furore per le sette trombe)


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Nella prefazione troviamo il seguente commento: «Ritmicamente, il brano più caratteristico della serie. I quattro strumenti, all’unisono, rievocano le sonorità di gong e trombe (le prime sei trombe dell’Apocalisse latrici di diverse catastrofi, la tromba del settimo angelo annuncia la consumazione del mistero di Dio). Impiego del valore aggiunto, di ritmi aumentati o diminuiti, di ritmi non retrogradabili. Musica di pietra, formidabile granito sonoro; irresistibile movimento d’acciaio, d’enormi massi di furia porpora, d’ebbrezza glaciale. Ascoltate soprattutto il terribile fortissimo del tema per aumentazione e il cambiamento di registro delle sue varie note, verso la fine del pezzo».
Brano di fattura singolarissima (vorremmo dire unica), il sesto movimento (Deciso, vigoroso, granitico, vivo) si presenta come un immenso, imponente unisono ritmico e melodico dei quattro strumenti. Il brano è infatti costituito da una sola lunghissima e petrosa melodia eseguita dai quattro strumenti con perfetta coincidenza di ritmo e di altezze (unica variante è la diversa ottava in cui la linea è collocata). La sconvolgente potenza delle sette trombe apocalittiche trova qui una rappresentazione di incredibile eloquenza: la volontà di Dio è infatti immutabile ed eterna e i suoi giudizi sono infallibili e giusti. Così il tessuto musicale si articola secondo una ricorrenza costante del tema iniziale, precedentemente esposto nell’Intermède, (es. 3) che assume talvolta vesti ritmiche differenti pur mantenendo chiara la sua riconoscibilità.



Es. 3

L’incommensurabilità metrica delle singole battute (ogni misura ha una lunghezza diversa dalle altre) e il gioco dei progressivi addensamenti e delle conseguenti rarefazioni delle durate dei singoli suoni è emblema dell’imperscrutabilità del volere divino (non sottoposto alla misura umana) e delle imprevedibili catastrofi innescate dallo squillo delle prime sei trombe. Di particolare interesse è proprio la raffigurazione musicale degli sconvolgimenti che accadano nel “Giorno dell’ira”: anche in questa situazione estrema non è il disordine o il caos a dominare perché tutto, anche la consumazione del mondo, è parte dell’indefettibile piano della Provvidenza divina.
Definitivo suggello della pagina è l’ultima ripetizione del tema iniziale “esploso” su diverse ottave (Quasi lento, terribile e possente), quasi ad abbracciare in un ultima fiammata l’intero universo prima del definitivo insediamento del Regno.
Anche qui il riverbero esperienziale diretto si arricchisce per l’ascoltatore di ulteriori sfumature. La partitura di Messiaen infatti mostra una variante di quella riflessione su libertà e scelta già precedentemente incontrata. La volontà del Creatore è la sorgente della indefettibile concordia e del compito degli Angeli trombettieri (protagonisti impliciti del brano) che in essa trovano la loro intima realizzazione e la vera sorgente del loro essere e della loro liberazione.


7.Fouillis d’arcs-en-ciel pour l’Ange qui annonce la fin du Temps (Vortice di arcobaleni per l’Angelo che annuncia la fine del Tempo)


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Scrive l’Autore: «Si rinvengono qui certi passaggi del secondo movimento. Appare l’Angelo pieno di forza, e soprattutto l’arcobaleno che lo incorona (l’arcobaleno, simbolo di pace, di saggezza, di tutte le vibrazioni luminose e sonore). – Durante i miei sogni, sento e vedo accordi e melodie conosciute, colori e forme note; poi, dopo questa fase transitoria, passo all’irreale ed esperisco con estasi un vortice, una compenetrazione circolare di suoni e colori sovrumani. Queste lame di fuoco, queste colate di magma blu-arancio, queste stelle improvvise: ecco lo scompiglio, ecco l’arcobaleno!».
Pagina tra le più complesse e ramificate dell’intero Quatuor, il settimo movimento (Sognante, quasi lento) rappresenta un momento di sintesi di tutto quanto finora enunciato. L’esordio (col solo violoncello accompagnato dagli accordi ribattuti del pianoforte) rappresenta un doppio richiamo al secondo movimento (episodio centrale) e al quinto (la prima Louange) e simboleggia in maniera eloquente lo status dell’Angelo come “specchio dell’Eterno” (del Verbo nel caso specifico) attraverso la fusione dei due atteggiamenti musicali già ricordati. La potenza della creatura angelica è immediatamente (e improvvisamente) evocata da una ripresa variata dell’incipit del secondo numero della partitura (il Vocalise) all’interno della quale si inserisce una citazione (sempre variata) della Danse (VI movimento). Improvviso e folgorante compare (Un poco accelerando) l’iridescente arcobaleno che corona l’Angelo, prisma luminoso della Grazia divina. L’episodio (breve ma fulminante per la inaudita capacità di evocazione visivo-sonora) ci riconduce a una ripresa variata della melodia di apertura (affidata al violino), arricchita da una ghirlanda di suoni intessuta dal clarinetto: lo splendore del messaggero celeste risplende di tutti i colori della Bellezza superna. Una nuova riproposizione del tema della potenza angelica conduce alla conclusione del movimento, vero vertice della pagina e sintesi suprema di tutte le immagini finora vedute. In un pulviscolo incantato di suoni si intrecciano tutti i temi musicali già incontrati: l’arcobaleno (fenomeno che riassume in sé tutti i colori dello spettro visibile) diventa metafora dello splendore divino in cui si ritrova intimamente sintetizzato tutto quanto nella realtà è diviso e separato. La ripresa del motivo iniziale del movimento, ora amplificato in triplice fortissimo, (Estatico) costituisce l’estrema variante della melodia dell’angelo che, grazie all’uso costante del trillo, sfavilla come una trasfigurazione celeste dell’intero creato. Un rapido ritorno della potente voce del messaggero divino (significativamente arricchita da una sorta di ultimo richiamo al canto degli uccelli) suggella rapidamente l’incredibile movimento, lasciandoci attoniti di fronte all’incredibile bellezza di una creatura la cui sostanza consiste nell’amorosa adesione all’eterna Volontà.


8.Louange à l’immortalité de Jesus (Lode all’immortalità di Gesù)


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Messiaen, a proposito di quest’ultimo movimento, annota: «Lungo solo di violino, funge da contraltare al solo di violoncello del quinto movimento. Perché questa seconda Lode? Perché s’adatta più precisamente al secondo aspetto di Gesù, al Gesù uomo, al Verbo fatto carne, che resuscita immortale per comunicarci la sua vita. Ed è tutto amore. Il suo lento salire verso il picco, rappresenta l’ascesa dell’uomo verso Dio, del Figlio verso il Padre, della creatura divinizzata verso il Paradiso».
La parola definitiva del percorso musicale ed esperienziale del Quatuor è affidata al solo violino accompagnato dal pianoforte. Nell’ottavo movimento assistiamo infatti alla catalizzazione in un solo punto dell’intero spettro espressivo dell’opera, alla definitiva realizzazione di tutte le istanze fino ad ora espresse. La contemplazione della divinoumanità di Cristo risorto (del Verbo incarnato che si pone come centro definitivo del Cosmo e della Storia) è espressa dall’autore con termini semplici e raffinatissimi a un tempo.
A differenza della precedente Louange à l’Eternité de Jesus (dove ad essere effigiato era il Verbo eterno) qui la carnalità del vero corpo del Risorto permea tutta la pagina, a partire dal palpito costante dell’accompagnamento pianistico che, nell’incessante ripetizione di una sola cellula ritmica (quasi un’imitazione della pulsazione del cuore umano) (es. 4) esprime, nella dialettica con la struggente ed intensa melodia violinistica, la duplice natura del Redentore.

Es. 4

Il pianoforte infatti illustra sia la dimensione carnale (temporale) dell’esistenza sia, nella sua estatica ripetizione della medesima formula ritmica, l’ora perpetuo dell’eternità. Il violino di contro, pur accettando la rigorosa divisione del brano in battute da 4/4 snoda la sua melopea incantata facendo abbondante uso di gruppi irregolari (tre note contro le due del pianoforte), emblema evidente della irriducibilità del Risorto a uno schema puramente umano.
La lenta e inesorabile ascesa verso le altezze ultraterrene del finale ci conduce verso sfere sempre attese, nel definitivo coronamento di quella speranza che, ora divenuta definitivo possesso, si fa certezza del dono di quel “regno celesto che compie omne festo che ‘l core ha bramato”. La meta, finalmente raggiunta, risplende di ineffabile luce nella semplicità (che, come ci ricorda Eliot, “costa non meno di ogni cosa”) del Vero.