Importantissima la precisazione di Benedetto XVI sul fatto che il Papa non è una rockstar.
E importantissimo il fatto che l’abbia voluto dire all’interno di un discorso più ampio che ha coinvolto le adunate più o meno oceaniche della Giornata Mondiale dei Giovani, pure fortemente volute e organizzate dalla Chiesa cattolica.
Chi non ha seguito l’evoluzione dei discorsi e dei ragionamenti di Ratzinger nel passato probabilmente percepisce queste parole come “occasionali” o come un attacco immotivato. La radice della frase “il Papa non è una rockstar” viene da lontano.
Nel 1986 intervenendo al convegno “Liturgia e musica sacra”, l’allora cardinale ebbe ad affermare che in molte esperienze musicali si raggiungere un’ebbrezza per mezzo di frenesia sacra, di delirio del ritmo e degli strumenti. Una musica simile abbatte le barriere dell’individualità e della personalità; l’uomo si libera così dal peso della coscienza. La musica diviene estasi, liberazione dall’Io, unificazione coll’universo.
Oggi sperimentiamo il ritorno profanizzato di questo modello nella musica Rock e Pop, i cui festivals sono un anticulto nella stessa direzione, smania di distruzione, abolizione delle barriere del quotidiano e illusione di redenzione nella liberazione dall’Io, nell’estasi furiosa del rumore e della massa.
Nel 2001, in “Introduzione allo spirito della liturgia”, Ratzinger riprenderà lo stesso concetto: «…il rock è espressione di passioni elementari, che nei grandi raduni di musica hanno assunto caratteri cultuali, cioè di controculto, che si oppone al culto cristiano, […] vuole liberare l’uomo da se stesso nell’evento di massa e nello sconvolgimento mediante il ritmo, il rumore e gli effetti luminosi, facendo precipitare chi vi partecipa nel potere primitivo del Tutto, mediante l’estasi della lacerazione dei propri limiti».
Proprio queste sono le parole che ho ripreso nel libro “Help!” (che ho scritto con Maniscalco, Rizza e Vites) a sottolineare l’ambiguità sottile che il rock ha sempre avuto da quando ha cercato di trasformarsi da forma artistica in sistema di rappresentazione di valori più o meno nuovi. Il rock e soprattutto i festival rock come luoghi e momenti di un controculto: questo è il punto drammatico che sottolinea il Papa, luoghi in cui ci si libera dal peso della coscienza in uno pseudo rito estatico di unificazione con l’universo. Come è vero! E chiunque ha vissuto – magari di sfuggita – un festival musicale sa che è così. Di questo il Papa sta parlando: tanti raduni, pure molti di quelli “cattolici”, più che essere un luogo di ragione e ragioni, di approfondimento della propria coscienza, divengono luoghi e momenti di forte emozione estatica, ne più ne meno che un concerto di U2 o Pearl Jam, di Vasco Rossi o di Ligabue. Ovvio, a mio parere, che Joseph Ratzinger non voglia essere identificato con loro e con il mondo che il rock – nel bene o nel male – vuole emozionalmente evocare con le proprie adunate da Woodstock in poi.