La capacità di un artista di dire qualcosa al mondo dipende solo in piccola parte dal suo talento e in grandissima parte dalla posizione che questo artista assume davanti al mondo.
Il 2 dicembre, a Milano, è cominciata la seconda edizione di una rassegna, “Milano per Giorgio Gaber”, dedicata a un artista – autore, cantante, attore – dalla posizione unica e inconfondibile. La rassegna ha in programma, oltre a diverse manifestazioni e dibattiti, quattro spettacoli di cui si fanno carico quattro bravissimi attori.
Il meno noto al grande pubblico – ma forse il più bravo sotto il profilo attorale – è Eugenio Allegri, che presenta al Filodrammatici fino al 14 dicembre Il Dio bambino, un testo degli anni Novanta.
Martedì 9 è la volta di Gioele Dix, che terrà una sorta di lezione-spettacolo su Gaber, Se potessi mangiare un’idea, in un luogo che gli si confà: l’università. Nell’Aula Magna della Statale, dove già l’anno scorso, per iniziativa di alcuni studenti, Giulio Casale portò la sua fenomenale versione di Polli d’allevamento. Mi pare significativo che, a distanza di un anno, la grande macchina organizzativa di questo festival tenga dietro un evento nato spontaneamente, inenstandosi per così dire su una radice che c’è già.
Due eventi avranno sede nel prestigioso Piccolo Teatro Strehler.
Il 13 e 14 Claudio Bisio farà una lettura scenica di un testo inedito scritto da Gaber insieme con Sandro Luporini, Io quella volta lì avevo 25 anni. Tra il 16 e il 21 sarà invece la volta di uno spettacolo molto bello e già molto premiato, Un certo Signor G, di e con Neri Marcorè. Mi sono soffermato sugli spettacoli, senza toccare gli altri eventi, perché sono gli spettacoli a formare l’ossatura, la struttura e a offrire la chiave di lettura più credibile dell’intero evento.



Questo programma ci parla di alcune persone di buona volontà che, supportate da una grossa macchina organizzativa e dal sostegno delle istituzioni – cui va riconosciuta questa stessa buona volontà – si prendono la responsabilità di ripresentare al pubblico di oggi (e soprattutto a quella parte di pubblico che per motivi anagrafici non ha potuto conoscerlo direttamente) alcuni frammenti dell’opera di uno degli ultimi giganti della cultura di questo Paese.
Nessuno – né tantomeno i bravi attori inmpegnati nella rassegna – può stare “dalla parte di Gaber”. Ciascuno deve e dovrà mantenersi semplicemente dalla propria parte. Soprattutto Gioele Dix, che si assume il compito più rischioso parlando all’università, dovrà fare attenzione: lui non è l’interprete, e nemmeno un interprete di Gaber, perché Gaber non ha interpreti. Questa è la sua forza. Gaber lo si può soltanto offrire, e il modo di offrirlo è di restare sé stessi.



Gaber è grande per l’unicità della sua posizione, che è la sua e soltanto la sua. Una posizione che è politica, filosofica, esistenziale, e abbraccia in questo modo tutto il destino di un uomo. Impegnato politicamente, Gaber non fece mai del proprio impegno una questione di schieramento.
L’Italia è il Paese degli schieramenti, tutti ci dobbiamo sempre schierare da qualche parte. Soprattutto chi esercita il gramo mestiere dell’intellettuale deve giocare continuamente tra una necessità di schieramento (o di qua o di là) e il bisogno di operare tutta una serie di distinguo che gli concedano un margine di autonomia.
Ma la libertà non si fa con i margini, ed è davvero molto raro incontrare una posizione profondamente, autenticamente libera e personale, fino alle radici.
Per me, scrittore italiano di oggi, Gaber rappresenta soprattutto questo. Una frase ormai proverbiale, che sia pure in modo caricaturale coglie il vero, dice che “Gaber era di sinistra, ma non della sinistra”. Diciamo che Gaber è solo Gaber, e che, se è vero che nessuno può stare dalla sua parte, è anche vero che tutti possiamo prendere esempio da lui per essere, almeno, altrettanto seri, altrettanto liberi.
Più volte ho detto e scritto che Gaber è stato l’ultimo, grande intellettuale italiano, intendendo con la parola “intellettuale” l’uomo che appartiene, nel bene come nel male, solo a ciò che realmente pensa e crede.
Gli uomini che si alterneranno, a Milano, tra Filodrammatici, Statale e Piccolo Teatro, in questo omaggio a Gaber, sanno di essere chiamati a fare con se stessi quello che fece lui. È la sola cosa che possano fare, e non è facile. Per questo vanno seguiti e rispettati, anche se i loro spettacoli dovessero non persuaderci fino in fondo.

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