Incontrai Claudio per la prima volta nell’agosto del 2000 al Meeting di Rimini. Mi chiese di andare nel suo stand, dove suonò la chitarra e cantò una canzone. La folla scomparì ai miei occhi e non riuscii più a sentire altro che la sua voce e la sua chitarra, nulla se non la sua canzone. Era Come la rosa, che divenne il titolo del disco che realizzammo assieme quasi un anno dopo. Non capivo le parole in italiano, così mi spiegò che parlava di sua moglie, la rosa. Pensai tra me e me, devo lavorare con quest’uomo e la sua musica. Questa era la forza della persona, della poesia e della musica di Claudio, dal primo momento che ci incontrammo.
Tornai in Italia nel marzo del 2001 per lavorare con lui agli arrangiamenti delle canzoni. Incontrai la sua amata moglie, Marta, e i suoi figli Martino, Maria Celeste e Benedetto. Mi fecero sentire come uno della famiglia, e questo era il loro atteggiamento con tutti gli ospiti. Questo, credo, fu l’accesso alla sua vita.
Claudio sentiva che avrei capito meglio sia la sua vita che la sua musica conoscendo la Romagna, la terra e il suo popolo. Mi portò a visitare i suoi amici… Claudio ne aveva tantissimi, da tutti i percorsi della vita: un artista, un artigiano della ceramica, un dottore, un produttore di vino, un poeta, un prete. Pensai allora che era uno degli uomini più ricchi che avessi mai incontrato.
Lavoravamo tutte le mattine sulle canzoni che Claudio aveva scelto per il disco. avremmo poi vagato per le colline della Romagna sul suo vecchio furgone, alla ricerca del pranzo perfetto. Parlavamo di tantissime cose mentre andavamo in macchina: musica, arte, religione, politica, letteratura e storia. Claudio sapeva come esplorare il significato nel senso più profondo. Per esempio, per spiegare una nuova parola italiana poteva tornare indietro non solo alla radice latina, ma anche a quella greca.
Nel maggio del 2001, Claudio venne a New York per lavorare a Come la rosa – stette a casa mia e lavorò nel mio studio. Andava a messa tutte le mattine in una piccola chiesa spagnola al di là della strada (avrebbe potuto scegliere una delle grandi cattedrali, ma non lo fece). Era un privilegio lavorare con lui, una sfida e una soddisfazione. Più tardi, tenemmo insieme dei concerti in Italia e tornò in America per una visita. Cosa volle fare? Visitare Ground Zero, dove le Torri del World Center ora giacciono in un cumulo di cenere. Claudio fece un film tributo a quel posto, era anche un dotato artista visivo. Abbiamo condiviso così tanto in quegli anni di amicizia…
Intuivo in Claudio una profonda vena di malinconia, ma quella tristezza era molto più che bilanciata da un grande amore per la vita e la gente. Era incredibilmente generoso, poteva guidare per centinaia di chilometri per fare un concerto gratuitamente o solo per stare con un amico. Scrisse e cantò quello che viveva e ciò in cui credeva. La sua musica è una eredità durevole, milioni di persone cantano le sue canzoni, in molte lingue.
Quando penso a lui, e ciò accade spesso, ricordo il suo genio, la sua onestà, e lo sento cantare.
(David Horowitz)