Da anni, quello che è unanimemente considerato il più significativo fra gli autori di musica rock di tutti i tempi, Bob Dylan, ha dato il via a una serie di pubblicazioni che permettono di intrufolarsi nei suoi archivi personali e ascoltare una vasta collezione di brani scartati per vari motivi dai suoi tanti dischi ufficiali.
Si chiama Bootleg Series, facendo riferimento ai tanti dischi pirata (i bootleg, appunto) che negli anni, senza autorizzazione sua o della casa discografica, hanno invaso il mercato dei cultori e dei collezionisti.
Il nuovo episodio (il Volume 8, che uscirà in Italia il 3 ottobre in versione doppio cd e deluxe – tre cd più due libri allegati, al prezzo alquanto esagerato di circa 160 dollari) volge lo sguardo, dopo una lunga serie di episodi dedicati al suo periodo più fecondo e cioè gli anni Sessanta, agli ultimi vent’anni di carriera.
Si tratta di versioni alternative o brani totalmente inediti scartati da dischi come Oh Mercy (1989), Time Out Of Mind (1997, prodotto da Daniel Lanois e vincitore di due premi Grammy), Love And Theft (2001) e il recente Modern Times (2006).
Quello che ne emerge è un ritratto ricco di fascino e di sorprese: alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, infatti, Dylan aveva pubblicamente annunciato di non scrivere più canzoni nuove (“Al mondo ce ne sono già abbastanza” aveva dichiarato) limitandosi a produrre due dischi di vecchi traditional folk e blues in solitaria chiave acustica. Era stato uno shock per tutti, fans ecolleghi musicisti. In fondo Dylan, come avevano detto i Beatles, era sempre stato quello che “indicava la strada”.
Quello che invece questo Bootleg Series racconta è il drammatico riemergere della sua incomparabile abilità di autore, troppo forte per tenerla celata: ecco capolavori che sembrano uscire da una vecchia raccolta di musica folk degli inizi del secolo come Mississippi (in ben tre versioni diverse; Dylan, ai tempi, l’aveva regalata a Sheryl Crow che ne fece una versione), Red River Shore, una lunga ballata dal delicatissimo sapore tex-mex con tanto di fisarmonica o ancora il blues dolente e maestoso di Marchin’ To The City.
Per arricchire il menu, sono state incluse alcune esibizioni dal vivo degli ultimi anni, che francamente suonano un po’ fuori posto e non sono neanche fra le migliori del nostro, più un paio di brani apparsi su colonne sonore, la bellissima Cross The Green Mountain (dal film Gods And Generals) e Huck’s Tune (da Lucky Town).
Una raccolta, questa, che non è solo per fan, ma diventa essenziale per tutti coloro che hanno amato la grande musica d’autore.



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