C’è chi perde la testa per la regina di Francia e chi perde la testa perché è la regina di Francia. Nel nostro caso ci interessa il primo tipo di persona e, di questa folta schiera, uno in particolare: Johannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus (ossia Amadeus) Mozart. Il 27 gennaio di 253 anni fa, in via Getreidegasse al numero nove, fu una splendida giornata. Se lo fosse da un punto di vista climatico non ci è dato sapere, ma sicuramente lo fu per l’umanità. Dante per sottolineare l’eccezionalità di una nascita utilizza l’immagine «nacque al mondo un sole, come fa questo talvolta di Gange», ossia nel massimo del suo splendore, sotto i migliori influssi, all’equinozio di primavera. Così, come quella di Dante stesso, anche la venuta al mondo di Mozart può tranquillamente annoverarsi fra quelle nascite straordinarie, non più importanti certo di quelle ordinarie, ma sicuramente assai utili a quest’ultime.
Ora, sulla vita di questo incredibile compositore sono state scritte un’infinità di biografie e ancor di più saggi sull’apporto che egli diede all’universo musicale. Non è certo questa la sede per ripercorrere ciò che molti altri hanno ripercorso. Sarebbe piuttosto di maggior interesse offrire qualche spunto di riflessione su alcuni particolari, forse non troppo conosciuti di questo genio, di ciò che lo riguardò e di quanto continua a riguardarlo.
In primo luogo il nostro venne al mondo con una malformazione che ha tutto l’aspetto di un ironico scherzo della sorte. Egli infatti aveva l’orecchio sinistro deforme, difetto che trasmise peraltro al suo ultimo figlio. L’orecchio “assoluto” e perfetto di Mozart mancava della conca auricolare, il che rendeva l’intero padiglione piuttosto sgradevole alla vista. Questo è il motivo per cui la maggior parte dei suoi ritratti venne eseguita dal lato destro o dal suo tre quarti.
Immaginiamoci la medicina moderna alle prese con questo fenomeno. Se ciò non fosse bastevole cagione di un’interruzione di gravidanza, non è così esagerato pensarlo, il musicista sarebbe comunque oggetto di una chirurgia correttiva. Nulla in contrario a quest’ultima prassi sebbene piace accomunare questa imperfezione alla sordità di Beethoven o alla grave dislessia che affliggeva Einstein o, perché no, alla bassa statura di Muggsy Bogues, ex campione dell’NBA. Questo perché la storia degli uomini è resa ancor più affascinante quando i limiti imposti dalla natura, di fronte ai quali spesso la sola ragione si arrende, vengono superati dall’indole straordinaria di alcuni personaggi.
Anche se, a dire il vero, non fu l’orecchio deformato ad essere il vero limite o il vero cruccio dell’uomo Mozart. La bassa statura, l’aspetto mediocre, l’irrefrenabile spinta verso alcune forme di trasgressione, resero complicata la vita interiore del musicista. Sotto questo aspetto il film Amadeus, di cui si consiglia vivamente la visione, svolge un’operazione corretta nell’intento di descriverne il carattere. Lungometraggio da molti osteggiato, in quanto pieno di grossolane inesattezze storiche, (anche perché basato sul dramma teatrale di Peter Shaffer e non sulla biografia di Mozart) il film riesce a tratteggiare i classici caratteri del “genio e sregolatezza” calandoli egregiamente sulla figura del maestro. Non è un caso infatti che rispetto al barbosissimo Rossini! Rossini! di Monicelli, perfettamente curato dal punto di vista storico e filologico nonché fornito di un cast di tutto rispetto in cui spicca un grande Giorgio Gaber, il film di Milos Forman sia rimasto nel cuore del grande pubblico, anche dei non addetti ai lavori.
È infatti la grande umanità di Mozart l’autentica chiave per comprendere la sua musica. Lontano dall’epica totalmente umana, per quanto sublime, di Beethoven e dal rigore accademico del barocco e del classicismo che lo precedettero, Mozart compie la più elevata sintesi del dialogo artistico fra l’umano e il divino. Nella sua musica, come nella sua vita, è espresso il limite, e la grandezza, della creatura, che spesso sbeffeggia il proprio Creatore, ma che mai rinuncia al rapporto con lui.
Per meglio comprendere questa affermazione soffermiamoci sulla descrizione che ne fa Bernhard Paumgartner: «nulla lo sconvolgeva maggiormente di un’osservazione sfavorevole al suo aspetto modesto. Lo spirito, in preda a un continuo lavorio creativo, imprimeva al corpo ininterrotti movimenti nervosi. Mozart non stava fermo un momento e quand’era costretto all’immobilità doveva almeno battere insieme i talloni». Questa frase, sebbene non molto eloquente di per sé, è posta al centro, come uno spartiacque, dell’ampia descrizione che il musicologo fa del Maestro. Una descrizione che si snoda in un climax ascendente. Si passa dalle abitudini, dalle frivolezze e dai peccatucci, per attraversare le licenziosità morali e giungere al drammatico, non tragico, rapporto con la morte, la fede cattolica, che mai abbandonò, e la vita eterna.
Il fatto sorprendente è che Mozart non dissimulò mai i propri vizi, non nascose mai i propri limiti, ma questi coesistevano con la sua grandezza di fronte a tutti. Che si trovasse dinnanzi alla corte dell’Imperatore o al cospetto dell’Arcivescovo il suo atteggiamento mutava di poco rispetto al contegno che teneva con la moglie o un qualsiasi altro familiare. Ma non si confonda tale atteggiamento come l’antesignano dell’anticonformismo oggi tanto in voga. La sua non era irriverenza, bensì, forse eccessiva libertà. Era ben conscio dei propri enormi difetti ma non sino al punto da far sì che il peso dei rimorsi impedisse l’emergere della sua arte. Semplicemente godeva di una grande capacità di perdonarsi, perché conscio in primo luogo di essere perdonato da Dio. Il finale delle Nozze di Figaro, opera che termina con un’assoluzione generale, è molto efficace nello spiegare tale dinamica. Fu immediato e spontaneo come un bambino, come quando alla sopra citata Maria Antonietta, che da bambina aiutò il piccolo genio a rialzarsi dal pavimento dopo una caduta, disse: «grazie, quando sarò grande ti sposerò!».
Alla sua libertà, più o meno conveniente, si accompagnò anche una gioia di vivere che, a dispetto dell’incredibile numero di malanni fisici che lo afflissero, come racconta Luciano Sterpellone, crebbe di giorno in giorno, fino quasi a raggiungere le soglie del misticismo. Atteggiamento che sorprese e affascinò suoi contemporanei, primo fra tutti il suo librettista Lorenzo Da Ponte, vero artefice del nulla osta di Giuseppe II alle Nozze, l’imperatore stesso e, per dirla tutta, anche Antonio Salieri. E che continua ad affascinare i nostri contemporanei, come, ad esempio, lo scrittore Eric Emmanuel Schmitt.
Molto altro ci sarebbe da aggiungere sulla figura di questo meraviglioso personaggio, come il suo amore per la lettura e per il biliardo o il disprezzo che nei suoi confronti nutrirono Nietzsche e Maria Callas.
E molto altro da smentire, come la sua sbandieratissima (chissà poi perché?) affiliazione alla massoneria o la sua fama di libertino esasperato. Entrambi fatti veri, ma gonfiati a dismisura.
Ma preferiamo prendere commiato citando una lettera del compositore scritta a suo padre, all’epoca malato mortalmente:
«Poiché la morte, intesa nel suo giusto significato, è il vero ed ultimo scopo della vita, così già da un paio d’anni mi sono totalmente familiarizzato con questa ottima amica nostra, che la sua immagine non solo non mi appare più terrificante ma mi infonde tranquillità e conforto! E ringrazio Iddio che mi ha concesso la chiave della nostra vera beatitudine. Non mi corico mai senza pensare che, giovane come sono, potrei anche non vedere il giorno seguente. Eppure, nessuna delle persone che mi conoscono può dire ch’io mi comporti come un uomo triste e imbronciato. Di questa serenità, che auguro di gran cuore a tutti i miei fratelli, io ringrazio ogni giorno il Creatore».
Parole che ricordano S. Francesco, l’uomo cui Dante dedicò i versi sopra riportati.
(Raffaele Castagna)