Mino Reitano non c’è più.
Non canterà più Era il tempo delle more o Una chitarra cento illusioni. Non scriverà altre Una ragione di più, visto che lui – il “popolarone” per eccellenza – non era solo un cantante, ma anche un autore in grado di scrivere cose egregie.
Se n’è andato un musicista già travolto dai tempi, dimenticato dai giovani, snobbato ormai da decenni dalla musica più o meno “Importante”.
Nel mondo dell’estrema retorica c’è un peana per tutti, ma non è il caso d’associarsi.
Mino se ne va e gran parte di chi ascolta musica, cioè dei giovani, di chi scarica musica, di chi ascolta le mille radio d’Italia, non lo conosce, non ne ha mai sentito parlare. Se è per questo – si dirà – non ha mai sentito parlare nemmeno di De Andrè, ma questo è un altro problema.
Torniamo a noi: il fatto (terra-terra per dirla con mio padre) è che nessuno – o quasi – da lunghi anni sente più parlare di Mino o Nicola di Bari, di Toto Cutugno o Peppino di Capri. Al Bano? È un po’ più noto perché continua ad andare in tivù, prima per il gossip della moglie, ultimamente da Bruno Vespa.
Tra gli anni Sessanta e Settanta erano i più famosi d’Italia, sgomitavano con Mina, Celentano e Mogol-Battisti in classifica, nemmeno sentivano la turbativa dell’avanzare dei cantautori o delle band.
Poi sono stati travolti dall’onda anomala: in Italia non c’è più stato posto per loro. Dalle altri parti del mondo ci sono sempre stati “più mercati” i “popolaroni” americani o inglesi, francesi o spagnoli (per non parlare dei tedeschi) hanno sempre avuto un loro spazio. In Italia, nisba. I popolaroni vanno verso la scomparsa anche nella memoria. È grave? Mah: è un dato di fatto.
C’è un mondo di cultura popolare giudicata “bassa-bassa” che è sconosciutissima ai più. Non che la cultura del “Grande fratello” o di “Amici” sia molto meglio, ma così va il mondo: se hai avuto successo con Il cuore è uno zingaro o con Son tutte belle le mamme del mondo, non hai chances.
Così, quella generazione di musicisti-cantanti alterna oggi le feste di piazza a qualche tour in casa degli emigrati, età permettendo. Brutto essere popolaroni: dimenticati, snobbatissimi, considerati un piccolo fastidio, un fardello inevitabile di un passato da cui è sgorgato il sole lucente della musica importante. Brutto affare, essere un popolarone. Eppure, tra tutti questi il buon Mino Reitano era pure diverso. Non era rissoso, nemmeno nostalgico. Non voleva dimostrare qualcosa al mondo, come Toto Cutugno.
Mino ha fatto pure in tempo a ricordare – a chi glielo chiedeva – che era cattolico sin da bambino e che Benedetto XVI gli ha detto «lei ha gli occhi buoni» e lui si è messo a piangere. Bah, musicisti d’altri tempi…