Luigi Viva, giornalista e socio fondatore della Fondazione Fabrizio De André, è l’autore di “Non per un dio ma nemmeno per gioco – Vita di Fabrizio De André”. Una biografia ricca e avvincente maturata nel tempo nel confronto diretto con il cantautore e poeta genovese, di cui l’11 gennaio 2009 ricorreranno i dieci anni della scomparsa. Il libro, conosciuto dalla maggior parte di chi ama De André ha avuto un grande successo ed è arrivato alla quindicesima edizione entrando nella collana “Vite narrate – Universale Economica Feltrinelli”.
L’autore ha accettato di rispondere ad alcune domande su De André e la sua poetica.
Il suo libro fece molto scalpore perché raccontava la vita straordinaria di un artista per certi versi misterioso e per la collaborazione del protagonista. Come nacque l’idea di iniziare questo lavoro e come si spiega questo successo?
Ho conosciuto Fabrizio nel 1975 grazie a Giorgio Usai dei New Trolls. Da allora, seppure in maniera saltuaria, abbiamo iniziato a frequentarci, complice il comune amore per l’agricoltura, la filosofia e l’anarchia.
Fu con l’uscita de “Le Nuvole” che nacque il desiderio di un confronto con lui. Ascoltandolo nell’intervista concessa a Vincenzo Mollica per Prisma, mentre parlava del “potere” e dell’incombenza che questo ha su tutti noi, iniziai a pensare che quello che stava dicendo (da tempo) era vero. Fu un tutt’uno, in quel periodo ero molto preoccupato per la plumbea situazione politica del nostro paese e scrivere la sua biografia divenne per me quasi un dovere. Non è un caso che Fabrizio mi diede il suo ok a Milano, in casa sua, il giorno in cui iniziò “Mani Pulite”…
È imbarazzante per me spiegare le ragioni del successo di questo libro; posso dire che i lettori hanno probabilmente avvertito la sincerità, la cura e l’amore con il quale era stato scritto, visto che era nato esclusivamente da un’esigenza personale.
Come venne impostato il lavoro e quali erano le reazioni di De André all’evoluzione del progetto? Ci furono anche momenti di scontro?
Fabrizio ha condiviso il taglio della biografia come pure dell’altro volume non ancora pubblicato riguardante l’analisi dello stile di tutta la sua produzione. Corresse lo schema biografico, mi indicò le persone da contattare e da intervistare oltre che correggere parte del libro poi pubblicato.
Debbo dire che con lui non ho avuto nessun momento di scontro, ho dovuto solo armarmi di pazienza visti i molteplici suoi impegni che a volte ritardavano la lavorazione. Anche Fabrizio è stato paziente con me come si deve essere con un biografo (!). Non finirò mai di ringraziarlo per la fiducia che ha riposto in me e per l’affetto e l’amicizia che ha avuto nei miei confronti…
Ricordo ancora quando quella sera a casa sua discutevamo del progetto e lui mi manifestava i suoi dubbilegati ad alcune pubblicazioni che non lo avevano soddisfatto.
Quando gli chiesi «allora Fabrizio posso iniziare a scrivere?», guardandomi attraverso il ciuffo di capelli, mi rispose poco convinto «mah, vedi un po’ tu». La mia risposta fu perentoria: «Guarda Fabrizio, non mi devi fare un favore, se non ti va non c’è problema, ma sappi che il libro è una mia esigenza personale, lo scrivo per me». Si fece serio e immediatamente ribatté «se le cose stanno così, allora mi sta bene».
Come si manifestò il talento musicale di De André, sbocciato grazie a tante esperienze diverse, più che a una formazione musicale canonica?
Probabilmente il talento musicale lo aveva nel dna. A tre anni venne sorpreso sopra una sedia mentre dirigeva l’orchestra che stava ascoltando per radio. Certo è che avere un padre colto e intelligente come il Professor De André è stato fondamentale per gli stimoli sia musicali, sia letterari che Fabrizio ha ricevuto.
La sua poetica dava voce a un tesoro di esperienze maturate nella vita di campagna ai tempi della guerra e nelle successive bande di quartiere dei vicoli di Genova, ma anche a numerose letture? Quali fatti e quali autori lo segnarono maggiormente?
Fabrizio divorava i libri che gli passava prima il fratello e poi il padre. Da un punto di vista artistico-umano, ma anche politico, le persone che più lo hanno influenzato sono state il mezzadrio Emilio Fassio che gli insegnò ad amare e rispettare la natura, lo zio Francesco, conosciuto al ritorno dal campo di concentramento, prototipo di tante figure dolenti che popolano le sue canzoni, il poeta Remo A. Borzini che per primo lo avvicinò alla poesia, il compagno di vita Rino Oxilia e il poeta anarchico Riccardo Mannerini; non a caso Fabrizio mi disse «da Rino ho imparato la vita, da Riccardo ho imparato a pensare».
Qual è la sua canzone alla quale è più legato?
La canzone a cui sono più legato è Smisurata preghiera, e per questo motivo una parte del testo funge da seconda dedica che compare all’inizio del libro:
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità
(Intervista a cura di Carlo Melato)