Nell’autunno del 1969, esattamente quarant’anni fa, i Rolling Stones si imbarcavano nel loro primo tour americano dopo tre anni e soprattutto in quello che si può definire il primo vero rock tour dell’era moderna. Prima di allora infatti, con l’eccezione del tour di Bob Dylan della primavera 1966, i concerti rock erano esibizioni di circa mezz’ora, prolungate spesso dalla presenza di numerosi artisti che si esibivano uno dopo l’altro.



Anche i concerti dei Beatles seguivano questa logica, che era poi quella dei rock’n’roll show degli anni Cinquanta, i cosiddetti “packaging tour”. Gli impianti audio poi erano molto spesso se non sempre inadeguati alle nuove esigenze: migliaia di ragazzini che urlavano e strepitavano, coprendo così il volume della musica stessa. Il tour degli Stones del 1969 fu il primo tour a svolgersi nelle grandi arene, con adeguati impianti di amplificazione.



Ma non solo quello era cambiato: erano cambiati loro, non più band da hit singles di pochi minuti, ma autentici performer grazie all’innesto in formazione di professionisti di vaglia come il chitarrista Mick Taylor (proveniente dalla scena blues e che aveva preso il posto dell’ormai inadeguato Brian Jones, vittima delle droghe, che sarebbe morto nel luglio di quell’anno). Ed era cambiato il pubblico, non più teen ager ma i nuovi hippie ei contestatori venuti sulla scena con il ’68.

Il disco “Get Yer Ya-Ya’s Out”, registrato nel corso di due serate al Madison Square Garden di New York e pubblicato l’anno successivo, a buon ragione è considerato uno dei più grandi live di tutti i tempi.
Gli Stones qui bruciano di pulsioni blues luciferine: bastino i nove minuti di improvvisazioni che è Midnight Rambler, terrorizzante descrizione in musica degli efferati episodi dello strangolatore di Boston, o Sympathy for the Devil, il cui titolo dice tutto.



 

 

Gli Stones passavano in rassegna il lato oscuro della psiche umana e la sola musica che poteva raccontarlo era il blues, codificato secondo le nuove esigenze della musica rock. Non è un caso che quel tour si sarebbe concluso, a dicembre ad Altamont, in California, dove gli Stones tennero un concerto gratuito che nelle loro intenzioni doveva essere la loro versione di Woodstock, cioè una celebrazione di pace & amore. Si concluse con uno spettatore assassinato e con la fine stessa delle utopie di quel decennio, gli anni Sessanta.

Nel disco anche incandescenti versioni di classici di Chuck Berry come Little Queenie e Carol, e l’inno del ’68 Street Fighting Man, oltre a manifesti dello Stones-sound come Honky Tonk Women. Oggi che il gruppo di Jagger e Richards è una simpatica rappresentazione disneyana tutta fuochi d’artificio e palchi enormi, questo disco rimane come la loro massima testimonianza live.

Per festeggiare i quarant’anni dall’evento, il disco è adesso pubblicato in edizione deluxe: oltre al disco originale rimasterizzato, un secondo cd con cinque brani degli stessi concerti ancora inediti (tra cui Satisfaction), un terzo cd con i set degli artisti di apertura, e cioè il re del blues B.B. King e la scatenata coppia Ike and Tina Turner, e infine un dvd con alcuni filmati relativi ai concerti, scene nel backstage e in studio di registrazione. Più un libro di 56 pagine che racconta l’evento e anche la recensione originaria dell’epoca della rivista Rolling Stone scritta dal leggendario critico musical Lester Bangs.

Se le ristampe dei Beatles sono l’evento vintage dell’anno, questa degli Stones arriva ovviamente al secondo posto.