Grammy awards, un premio che sta alla musica come l’Oscar sta al mondo dei film. Rito meno planetario, la notte dei Grammy supera di gran lunga la sfarzosità della notte dei premi cinematografici per il numero dei premi attribuiti: quest’anno sono stati 106.
Trionfatori dell’annata sono stati Robert Plant e Alison Krauss con Raising sand. Sono la strana coppia: lui indimenticabile cantante dei Led Zeppelin, lei bionda e bellissima vocalist di country e bluegrass americano. Insieme hanno dato vita a un album perfetto.
Tanti altri premi per Coldplay e Radiohead, B.B. King e John Mayer, Duffy ed Eagles, Daft Punk e Natalie Cole. Ma la realtà è che ai Grammy si premia di tutto. C’è il Grammy per il miglior prodotto di polka (se può interessare quest’anno ha vinto Let the Whole World Sing di Jimmy Sturr and His Orchestra) e c’è pure il premio per le migliori “note” discografiche (la palma è andata alle introduzioni di Francis Davis dell’edizione del cinquantesimo anniversario di “Kind of blue” di Miles Davis). Insomma, un guazzabuglio, una babele al limite dell’imbarazzante.
Una cosa, a mio parere, emerge insolita dal magma, cioè il premio per il miglior contemporary blues album, andato a The city that care forgot di Dr. John, un album di dolore e intensità fisici, palpabili. Dr. John è nome d’arte di Malcolm John Rebennack Jr., pianista di New Orleans, classe 1940. In azione dai primi anni Sessanta, la sua musica è un misto di blues e jazz, tradizioni francesi e bluegrass sempre in bilico tra ispirazioni soul e cultura creola-vodoo. Il dopo uragano-Katrina l’ha visto attivissimo, tra concerti benefici e donazioni al fondo per le vittime dell’uragano. Ma la forza che soffia in The city that care forgot (letterale: La città che conviene dimenticare) è ancor più radicale di un concerto assistenziale.
Le 13 canzoni dell’album sono tratti di pietà e di rabbia, istantanee di lacerazione e impotenza, urla di speranza. Nel disco ci sono ospiti importanti, come Willie Nelson ed Eric Clapton, c’è blues e c’è una big band potente, ma quel che domina è il messaggio politicamente scorretto: non dimentichiamo la distruzione, ognuno ha colpe da ipocrisia di cui chiedere perdono, facciamoci carico del dolore. In Dream warrior e in Promises, promises spira forte, fortissimo l’antico vento delle “canzoni di protesta”, attacchi vibranti al finto Stato onnipresente, l’accusa chiara che “la mancanza di fratellanza può ripetere mille disastri”. La speranza viene dal basso (My people need a second line), da chi ha ricominciato a vivere, da chi non si è fermato, la speranza è di chi non ha paura. Perché, dice dr. John in You Might Be Surprised, “la vita è un’esperienza sempre molto vicina alla morte”.
L’America dei 106 premi, del Barnum delle note, è riuscita a premiare anche il disco dedicato alla città da dimenticare. Forse l’ha fatto per lavarsi la coscienza. Forse l’ha fatto per dimenticare in fretta l’era Bush.
L’importante è che il disco sia una testimonianza di come a New Orleans guardano al futuro nel tentativo di non far sommergere l’umano dal vortice delle acque e della dimenticanza.