Il Festival di Sanremo è davvero sempre uguale a se stesso? Sentendo i racconti di chi lo ha seguito con passione fin da bambino si può scoprire che non è affato così e forse nelle piccole rivoluzioni della kermesse canora si possono intravedere i cambiamenti più profondi, nel bene e nel male, di questi ultimi 60 anni.
Ce ne parla Francesco Chiari, giornalista e musicologo di una competenza e una curiosità talmente fervide da abbracciare la musica classica e il jazz, senza per questo non considerare e amare la canzone popolare.
Cosa si aspetta da questa 59° edizione del Festival?
Da troppi anni ha smesso di proporre canzoni capaci di entrare nella coscienza comune della gente, come Nel blu dipinto di blu, Grazie dei Fiori, o Papaveri e Papere.
L’ultima canzone che ha saputo incidere penso sia stata Vita spericolata di Vasco Rossi, ma stiamo parlando di Sanremo 1983.
Spero che torni a farlo, anche se è molto difficile.
Quali sono secondo lei i concorrenti che possono far sperare in qualche sorpresa?
Le novità, più che da Albano e Iva Zanicchi, è giusto aspettarsele da cantanti come Francesco Renga e Alexia, praticamente l’ultima artista italiana che è stata in grado di scalare le classifiche inglesi con il brano Happy.
È rimasto comunque affezionato a questo evento?
Seguo il Festival dal 1966. Avevo 7 anni quando Mike Bongiorno presentò gli Yardbirds annunciandoli come “I Gallinacci”.
Sono rimasto affezionato a questo appuntamento fino a qualche anno fa , ricordo bene l’attesa che ci procurava da piccoli e il grosso registratore a bobine che io e mio padre usavamo, anche se il risultato non sempre era eccezionale.
Aspettavamo le canzoni di Sanremo per poi cantarle a scuola e a volte parodiarle. Erano in grado di rimanere; sono indelebili nella mia memoria Io che non vivo (1965), poi tradotta in inglese da Dusty Springfield e ripresa in seguito dallo stesso Elvis Presley o Adesso sì di Sergio Endrigo (1966) che, come raccontai a lui 35 anni dopo, usai in classe per spiegare ai miei alunni le metafore. O le canzoni decisamente brutte che finivano ugualmente in tutti i jukebox, come Ragazza del sud di Gilda, che vinse l’edizione 1975.
Quali sono le differenze più rilevanti tra il Festival di oggi e le prime edizioni?
Agli inizi la canzone era assolutamente al centro dell’attenzione ed era più importante sia del cantante che del disco.
È emblematica una pubblicità di “Musica e dischi” di quegli anni che annunciava la vittoria di Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno e Johnny Dorelli, elencando però almeno 10 versioni diverse dello stesso brano interpretate da altri cantanti. Alcuni preferivano la versione originale, altri quella di Corrado Lojacono, la cosa più importante rimaneva però la canzone. Allo stesso modo chi non amava la versione con il paperino di Nilla Pizzi di Papaveri e papere poteva comprarsi quella più scanzonata di Renato Carosone.
La canzone doveva avere un valore tale da poter sostenere l’ascolto ripetuto e da riuscire ad entrare nel sentire comune. Poteva poi passare da un cantante all’altro, come successe anche in seguito, basti pensare che Gianni Nazzaro si presentò a Sanremo 1987 con Perdere l’amore ma venne scartato alle selezioni, mentre l’anno dopo la canzone passata a Massimo Ranieri vinse il concorso.
Tornando alle prime edizioni, era assolutamente normale che il Quartetto Cetra nel ‘54 presentasse al Festival ben sei canzoni. Oggi sarebbe impensabile, ma nel frattempo parecchie cose sono cambiate.
Ad esempio?
Innanzitutto stiamo parlando di un’epoca in cui in Italia c’erano 500 case discografiche, ma 3.000 case editrici, che fino ai primi anni Ottanta si trovavano tutte nella Galleria all’ombra del Duomo di Milano.
La casa editrice acquisiva il brano dall’autore e poi lo piazzava al cantante più adatto. Era un grosso giro d’affari e di interessi, se ad esempio un autore vedeva affidare la sua canzone a Luciano Tajoli o a Claudio Villa poteva essere sicuro del successo.
Ogni casa editrice aveva i suoi cantanti, nel 1966 ad esempio la Ricordi pubblicò un album con le canzoni di Sanremo, cantate però da artisti della scuderia Ricordi, affidando Adesso sì di Sergio Endrigo a un giovane artista appena scritturato, un certo Lucio Battisti. Quello fu il suo esordio discografico.
Ripercorrendo le tappe fondamentali che hanno rivoluzionato il Festival da quale possiamo partire?
La prima rivoluzione la operò Modugno, che fu il primo ad essere cantante, cantautore e anche “personaggio”. La sua immagine a braccia aperte mentre cantava Volare scandalizzò il pubblico (Sanremo 1958).
Addirittura?
Certo, fino ad allora i cantanti dovevano limitarsi a proporre la canzone, senza distrarre, con l’eccezione di artisti curiosi come Renato Carosone, che però era un intrattenitore da locale notturno.
Da Modugno in poi diventa importante anche il modo di porsi rispetto al pubblico. Pochi anni dopo infatti Adriano Celentano presentò Ventiquattromila baci (Sanremo 1961) girando le spalle alla telecamera e scatenando addirittura un’interrogazione parlamentare. Come tutti sanno, tra le altre cose, era in congedo da militare.
Iniziano poi i primi problemi di “ordine pubblico” con Ghigo, famoso per il brano Coccinella (1955), che nel ‘56 aveva già visto interrompere il suo concerto dalla polizia (per la cronaca si strappava i vestiti, si rotolava sul palco e a volte scendeva in mezzo al pubblico). Dopo una sua apparizione in TV a “Il Musichiere” venne censurato, nelle motivazioni la sua voce venne dichiarata “fonosessuale”… penso che nessuno abbia ancora capito cosa avessero voluto dire. Tra le altre cose istituì anche il “Partito estremista dell’urlo” e il “Festival dell’urlo”.
Il pubblico stava cambiando, soprattutto quello giovanile, non più legato solamente alle tematiche sentimentali o alle canzoni dello stile di Vecchio scarpone.
Nel 1960 la canzone Romantica venne presentata dai due esponenti di due mondi opposti: Renato Rascel (la “canzone all’italiana”) e Tony Dallara (gli “urlatori”).
Spopolò la versione di Dallara: il pubblico giovanile preferiva “gli urlatori”.
(continua…)
Segui il 59° Festival di Sanremo su ilsussidiario.net partecipando alla discussione condotta da Massimo Bernardini. Inoltre, sondaggi in tempo reale, possibilità di commentare, ospiti e sorprese.
Appuntamento martedì 17 febbraio ore 21.00 nella Sezione Musica de ilsussidiario.net.