La seconda serata del Festival di Sanremo si aprirà in maniera insolita: sul palco dell’Ariston prenderà posto prima dei concorrenti il Coro Jubilate, diretto da Paolo Alli.
Il direttore stesso ci racconta come mai un coro polifonico che da più di trent’anni coltiva un repertorio di musiche sacre e profane dal Quattrocento ai giorni nostri ha ricevuto questo gradito invito.
Come è arrivatola proposta di aprire una serata del Festival e cosa eseguirete questa sera?
Il tutto è nato da un rapporto di amicizia con Bruno Santori che è il Dirtettore principale dell’Orchestra di Sanremo. Con lui facemmo il Requiem di Mozart in occasione del 1° anniversario della morte di don Giussani in S. Marco a Milano.
Inoltre, Bonolis ha voluto aprire le serate in chiave classica e quindi ci siamo prestati a questa apertura con un brano misto per dimostrare che la musica oltrepassa il tempo e lo spazio creando legami e ponti tra antico e moderno. È un intervento di 3 minuti che parte da un tema del Requiem di Mozart e che, passando attraverso un tema moderno, ritorna sul classico. È l’idea che la musica è un linguaggio che attraverso il tempo e lo spazio arriva anche a Sanremo.
Che cosa rappresenta questo evento per il vostro coro?
Dopo più di trent’anni di attività che comprende circa un migliaio di concerti, lo possiamo leggere come un grande riconoscimento del lavoro fatto. Non è certo un punto di arrivo, dal momento che i nostri generi sono diversi dalla musica leggera. Premia il tentativo di non fossilizzarci su un genere musicale, ma di essere aperti a diverse forme, popolare, spiritual.
Il canto allora diventa chiave di collegamento tra culture che va oltre la musica strumentale; il canto è l’espressione originaria dell’uomo di ogni cultura.
Ci racconta com’è nato il coro e qual è stato il vostro cammino formativo?
Il Coro Jubilate è nato nel 1975. Siamo cresciuti confrontandoci con scuole e maestri diversi. Abbiamo partecipato a concorsi e manifestazioni internazionali ed europei.
Nel corso degli anni il coro ha potuto affinare le proprie qualità tecniche e interpretative grazie anche all’importante contributo critico e didattico di celebri Maestri italiani e stranieri del Novecento, e ha vissuto un costante confronto stilistico con altre scuole corali mediante la partecipazione a numerosi concorsi, rassegne e corsi di aggiornamento.
Abbiamo vinto diversi premi tra cui, quello piu importante, nel 2003 a Tallin. Questo ci ha stimolato a fare sempre meglio e ci ha permesso di essere a contatto con chi poteva essere maestro.
La caratteristica che ha sempre dominato il nostro lavoro è sempre stata quella dell’essere aperti al confronto, a imparare cose nuove da altri, tenendo conto che la musica corale è come un’opera di “artigianato”, non è nulla di scientifico, ma la si apprende e la si impara cammin facendo.
Allora abbiamo capito che il risultato che si ottiene aprendoci agli altri è largamente maggiore dell’insieme dei singoli valori.
L’educazione musicale in Italia sembra faccia un po’ “acqua” da tutte le parti. Quale apporto può dare all’educazione musicale un Festival della canzone italiana?
Sicuramente la presenza di molti giovani che amano la musica e che amano cantare è molto positiva, perché dimostra ai giovani stessi che attraverso un impegno serio e costante è possibile raggiungere risultati importanti.
Allora, da questo punto di vista, poco importa il “tipo” di musica – leggera, rock, jazz, classica –; la cosa importante è che ci deve essere una volontà e un impegno seri di approfondimento. Poi i linguaggi musicali seguono un po’ il gusto delle persone e delle mode. E il messaggio che Sanremo può lanciare è proprio il fatto che la competizione dei giovanì dimostra che attraverso la volontà e l’impegno si raggiungono risultati importanti.
(Michele Pirotta)