Caro Enzo, ieri mattina, quando ho letto le tue dichiarazioni al Corrierone su Eluana, ho fatto un salto sulla sedia: «Nessuno può entrare nel loro sonno misterioso e dirci cosa sia davvero, perciò non è giusto misurarlo con il tempo dei nostri orologi. Ecco perché vale sempre la pena di aspettare… Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo tanto bisogno di una sua carezza».
Mi hai fatto venire alla mente una frase del tuo amico “nasone”, Giorgio Gaber, alla fine del suo spettacolo Il grigio: «Bisognerebbe essere capaci di trovare… la consapevolezza e l’amore che dovrebbe avere un Dio che guarda».
Me la ricordo ancora, sul palcoscenico del Lirico, quella strana cena-festa a sorpresa per i sessant’anni del tuo amico Giorgio, che per uno strano scherzo del destino passai accanto a te e a tua moglie Giuliana.
E mi ricordo da ragazzino tuo figlio Paolino alle prese col suo primo motorino, in quel garage milanese che da sempre abbiamo in comune e dove ogni tanto ci incontriamo come due vicini qualsiasi. Di Paolino, al Corriere, dici che «se si trattasse di mio figlio basterebbe un solo battito delle ciglia a farmelo sentire vivo». Io te l’ho visto crescere accanto quel figlio amatissimo, quel figlio che è il tuo orgoglio anche di musicista fino… a farti da padre. E’ lui che oggi ti sprona, che cerca di non farti disperdere quel talento che – mi ha sempre detto Gaber – hai sempre avuto in misura assai più straripante di lui. Però, aggiungeva Giorgio, quel “cialtrone” di Jannacci si butta via, si disperde in mille direzioni, maledetto…
Fra le altre la professione medica, con la consapevolezza che fare il guitto su un palcoscenico non ti bastava, non ti è mai bastato. Ma qui, come mi raccontasti una volta, c’entra anche la figura di tuo padre, “terrone” emigrato dalla Puglia che ti ha fatto crescere da milanese inquieto e ambizioso di far qualcosa di buono nella vita, qualcosa per gli altri. E’ tutta questa “roba”, tutta questa storia, tutta la forza delle cose belle che hai fatto – ma anche di quelle che avresti potuto fare e non hai fatto – che ti fanno dire quello che dici oggi su Eluana.
Molti pensano che tu sia un po’ matto, nel mondo musicale come nel quartiere. Che tu sia inaffidabile, incostante, spesso indecifrabile.
E anch’io, te lo confesso, ogni tanto quando ripeti le tue cantilene sulla gente che fa fatica sono tentato di alzare le spalle. Però stavolta mi hai lasciato senza parole. Ho pensato: ecco a cosa servono gli artisti, a farci uscire dalle opinioni prefabbricate, dai dogmatismi, dall’opinionismo schierato. Le tue parole stavolta hanno una fragranza antica, irregolare, imprevista. Stavolta non ti schieri, semplicemente testimoni quello che hai visto e che sai della vita.
Diranno che ti sei arreso ai preti, che fai il loro gioco, che non rispetti la libertà degli altri… Tu resisti Enzo, non mollare, dì quello che senti, quello che hai visto. Mi piace pensare che in fondo per te Eluana sia come quello che cercava il Rino in E l’era tardi, come il barbone che Portava i scarp del tennis, come Giovanni, telegrafista, come Il bonzo, come Vincenzina. Storie che quando le canti tu ci viene un groppo qui, alla gola, e ci fanno tornare a casa un po’ più inquieti.
Grazie, Enzo.