Sono trascorsi quarant’anni dal 1969, anno dell’uomo sulla Luna e del festival di Woodstock.
A metà agosto di quell’anno oltre 500.000 americani furono spettatori di una kermesse musicale senza precedenti, dando vita all’evento rock più celebre della storia.
Un evento spesso osannato per i suoi significati generazionali o “rivoluzionari”, ma di cui, forse, nessuno ha raccontato le “storie umane”.
Ecco, senza miti o riverenze, la storia di quel che è successo prima, durante e dopo, a Woodstock e alle persone che ne sono state protagoniste…
L’avventura di Woodstock nell’aprile ’69 aveva fatto grossi passi avanti, ma ancora non aveva un luogo dove concretizzare il suo sogno. Alla fine del mese gli agenti immobiliari a cui si erano rivolti i quattro “giovani” organizzatori – John Roberts, Joel Rosenman, Artie Kornfeld e Michael Lang – propongono un’area industriale come sede del concerto. I quattro vanno a vederla, ma i pareri sono discordanti: si trattava di una zona industriale dismessa a Walkill, a qualche decina di chilometri da Woodstock. Per 10.000 dollari il proprietario, Howard Mills Jr., è disposto a dare in affitto 300 acri di superficie, terreni collegati con la Statale 17 (non c’entra niente con la canzone di Guccini e dei Nomadi), in una zona già fornita di elettricità e acqua. Lang e Kornfield non apprezzano l’idea (ma d’altra parte i quattro hanno già iniziato da mesi ad avere divergenze sostanziali e la convivenza tra loro non è mai troppo “facile”): per il festival dell’Età dell’Acquario, quella cantata da Hair, si attendevano un’immersione nella natura, verdi erbe e acque limpide, non una zona semi-industriale, già pronta ad accogliere vagoni ferroviari e depositi logistici. Ma Walkill andava benissimo a Roberts e Rosenman e questo – contanti alla mano – era sufficiente. La macchina organizzativa a questo punto poteva mettersi in moto.
I punti da affrontare per dare corpo al Festival erano: la contrattualizzazione delle band, la logistica di accoglienza, l’organizzazione sonora, la struttura del palco, i rapporti con le autorità locali. Primo punto: chi andava in scena? Alcune bands furono contattate da Artie per vie normali, cioè attraverso i loro manager. Così confermarono la loro presenza i Jefferson Airplane, i Credence Clearwater Revival, gli Who, John Sebastian dei Lovin spoonful. Altri arrivarono “per caso”. La folksinger Melanie, famosissima in quei giorni, durante una trasmissione radiofonica su WNEW-FM, si sentì fare la domanda «parteciperai anche tu al festival di Woodstock?». Melanie non ne aveva mai sentito parlare, ma rispose di getto «Certo! Di sicuro». E così accadde. Uno dopo l’altro i nomi più importanti della controcultura rock americana aderirono al volo. Complessivamente l’investimento “artistico” raggiunse i 180.000 dollari, con gli Who che spuntarono il cachet più succulento, 12.500 dollari. I Jefferson, che in quel periodo guadagnavano 6.000 dollari per esibizione, firmarono per 12.000 dollari. Fioccarono anche i “no grazie”, i “si forse”, i “vedremo”: Bob Dylan, Beatles (nel frattempo, proprio il primo giugno ’69, John Lennon e Joko Ono registrano a Montreal Give peace a chance, prima registrazione in solitaria di un Beatles a sancire la fine della band), Stones e Clapton non sarebbero stati della partita: peccato.
Mentre i contatti artistici proseguivano, Lang e Rosenman stazionavano stabilmente a Walkill, per rendere possibile logisticamente il Festival, ma non tutto filava liscio. Parlando con il responsabile della sicurezza della città, Jack Schlosser, Rosenmann aveva detto che il festival avrebbe visto sul palco jazz band e folksinger e un pubblico stimato di 50.000 persone. Nello stesso tempo l’assistente di Lang, Stan Goldstein, stava lavorando con Allan Markoff, 24enne proprietario dell’Audio center di Walkill. Goldstein aveva chiesto a Markoff di realizzare “il più grande impianto audio mai visto negli States”, un impianto sufficiente per 100.000 o 150.000 persone e in grado di trasmettere musica rock anche a chilometri di distanza. Le incongruenze non passavano inosservate, mentre a Walkill non sfuggiva il fatto che la cittadina era diventata meta di questi organizzatori che avevano il look della tanto temuta controcultura hippy. E hippy significava rock, droghe, sesso. Insomma, in città il malumore per il festival serpeggiava.
Intanto, però, la macchina comunicativa e pubblicitaria del festival era partita in grande stile. Radio, giornali, strumenti del passaparola underground ormai battevano il tam tam, “ci vediamo al festival”, era ciò che circolava da Los Angeles a Boston, da San Francisco a Dallas. Intere “comuni” si stavano mobilitando per attraversare gli States e raggiungere Walkill. Migliaia e migliaia di persone avevano già deciso di non perdersi quello che sarebbe stato l’evento rock dell’anno.
In giugno Goldstein, che si era trasferito a Walkill per seguire tutto da vicino, viene invitato a un’assemblea cittadina al City council di Walkill. In sala ci sono 150 persone e Goldstein, solo e tranquillo, crede di dover rispondere a domande “organizzative”. La realtà è diversa: la gente di Walkill e anche Jack Schlosser non ne vuol sapere di ospitare un happening per 100.000 persone con il rischio di vedere la cittadina assediata dalla polizia e dalla guardia nazionale, invasa da hippy e da spacciatori e trasformata in un campeggio. L’assemblea diventa infuocata e si “spegne” dopo due ore. Nei giorni successivi il proprietario dell’area designata, Howard Mills Jr, riceve telefonate minatorie, mentre gli esposti allo sceriffo si susseguono.
Il 15 luglio 1969, a un mese esatto dal concerto, la città di Walkill comunica alla Woodstock Ventures che il territorio cittadino non è più disponibile per il Festival. A un mese dal concerto, con le band ormai contrattualizzate, biglietti venduti e pubblicità sempre più estesa, il Festival rischia di saltare.