Sono trascorsi quarant’anni dal 1969, anno dell’uomo sulla Luna e del festival di Woodstock. A metà agosto di quell’anno oltre 500.000 americani furono spettatori di una kermesse musicale senza precedenti, dando vita all’evento rock più celebre della storia.
Un evento spesso osannato per i suoi significati generazionali o “rivoluzionari”, ma di cui, forse, nessuno ha raccontato le “storie umane”.
Ecco, senza miti o riverenze, la storia di quel che è successo prima, durante e dopo, a Woodstock e alle persone che ne sono state protagoniste…



Meno di un mese per fare tutto quel che rimaneva da fare: ecco l’imperativo categorico della Woodstock ventures. Soprattutto ecco l’obiettivo di Artie Kornfeld e Michael Lang nei 28 giorni che rimanevano tra lunedì 21 luglio e l’inizio del concerto, fissato per venerdì 15 agosto.
Una forza lavoro impressionante fu ingaggiata in tutta la contea: oltre trecento persone occupate tutto il giorno per la sistemazione dei terreni, la costruzione delle strade, l’organizzazione degli spazi attrezzati, l’allestimento del palco. Jay Drevers, operaio di 21 anni già al lavoro nei concerti organizzati da Bill Graham (il più famoso promoter musicale degli States), fu il direttore dei lavori al palco: una struttura enorme (per quei tempi) di 21 per 24 metri (oggi un palco da stadio-show raggiunge le dimensioni di 60 per 30 metri).
Si chiudono i contratti per il cibo (tonnellate e tonnellate di carne, salsicce, patate, cipolle), per l’acqua potabile, per l’energia elettrica per il palco. Il produttore musicale indipendente Alan Douglas arriva attorno al 5 agosto, con tre filmmakers underground, Malcolm Hart, Marty Topp e Michael Margetts, muniti di macchine da presa e pellicole: sono loro che d’accordo con Lang riprendono i preparativi del festival. Nel frattempo la Woodstock ventures sigla un contratto da 16mila dollari con Bill Abruzzi, un medico che si preoccupa di creare una task force sanitaria che alla fine contò su circa 25 dottori e oltre duecento infermiere (c’è da ricordare che al festival ci scappò pur il morto: il 17enne Raymond Mizak, schiacciato da un trattore nel mare di fango dopo le piogge torrenziali del primo giorno di musica). Intanto il 10 agosto anche la posa di 22 chilometri di tubature per l’acqua è terminata.



La mattina del 13 agosto Artie Kornfeld è l’uomo più felice del mondo. Artie conosce bene un boss della Warner Brothers, Ted Ashley, ed è riuscito a farlo ragionare sul fatto che la Warner con “soli” 100.000 dollari può mettere le mani su uno dei più importanti business della storia del cinema. «Ted, là fuori ci sono centinaia di migliaia di ragazzi in attesa di un concerto: se spendi 100.000 dollari ne guadagnerai milioni con il più grande film rock della storia. Se poi viene fuori un casino, allora avrai uno dei migliori documentari di sempre». Ted e Artie scrivono a mano il contratto e lo firmano in mattinata. Dopo pochi minuti Artie con la moglie partono alla volta della fattoria di Max Yasgur, dove Michael Wadleigh, Martin Scorsese (appena laureato in cinematografia alla New York Film School) e un centinaio di tecnici e operatori attendono per dare il via alle riprese.



Nel pomeriggio del 14 agosto la verde vallata di Woodstock è un poetico campeggio per venticinquemila hippy. I primi erano già arrivati durante la giornata dell’11 agosto. C’erano bambini che correvano a fare il bagno, mamme con i fiori nei capelli che li richiamavano, padri che osservavano sorridenti. Le cucine iniziavano a distribuire hamburger, hot dog, cibi naturali, spiedini, mentre intanto la circolazione di mescalina e Lsd, hashish e cocaina andava alla grande.
La presenza già costante è quella della security: circa trecento persone reclutate tra i poliziotti di New York con una t-shirt rossa con la scritta Peace e sulla schiena l’ormai classica chitarra con la colomba. Oltre a questi, autentici poliziotti reclutati sulla base di un atteggiamento “non violento” nei confronti di capelli lunghi, amore per il rock e per le sostanze stupefacenti, a Woodstock arriva anche la “Polizia hippy”: sono gli Hog Farmers di Wavy Gravy, al secolo Hugh Nanton Romney. Attivista anarchico, clown e compagno di scorribande di Bob Dylan, Wavy aveva dato via a una serie di comunità tra il New Jersey e la California e Lang l’aveva chiamato per contribuire a “fare ordine” al Festival, gestendo l’ingresso dei musicisti e delle persone nell’area del palco. Wavy era arrivato a Woodstock con i suoi cento Hog Farmers, si era subito incontrato con Lang e aveva detto che il suo stile non-convenzionale di gestione dell’ordine avrebbe fatto faville. Aveva già in mente la parola d’ordine per musicisti e addetti: “i forget”, l’ho dimenticata. Forse anche per questo intorno al palco si registrò un mitico via-vai di gente per niente identificata e autorizzata a essere dov’era.

Il cartellone musicale del Festival, intanto, subiva di continuo movimenti e sommovimenti. Musicisti che si aggiungevano all’ultimo minuto, altri che disertavano, come il Jeff Beck group (che non fu presente perché Rod Stewart, nel frattempo, se n’era andato dalla band). Diserzione anche per personaggi trasversali, come Ken Kesey, lo scrittore di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, invitato ad essere presente con una “lettura pubblica”.
Mentre le ultime ore della giornata servivano a Kornfeld e Lang per organizzare la scaletta, iniziano ad arrivare le prime preoccupanti notizie di un ingorgo colossale. Da New York si giunge a Bethel con la New York State Thruway, poi imboccando la Route 17 e più avanti la Route 17B, in tutto 150 chilometri. Bene: quest’ultima era già per oltre 15 chilometri completamente bloccata, con migliaia di automobili abbandonate ai lati dell’asfalto e migliaia di giovani in marcia verso White Lake, Sullivan County.
Stava accadendo l’imprevisto finale: dopo aver venduto circa 135.000 biglietti e con un’audience prevista di circa 200.000 persone, Lang e soci stavano prendendo atto che il pubblico sarebbe stato infinitamente di più.
Il venerdì mattina, 15 agosto, mentre la coda era arrivata a 30 chilometri di inquietante immobilità, erano già più di 200.000 i giovani presenti; tanta gente, ma pochissimi erano gli artisti che erano riusciti ad arrivare in auto nei pressi del palco, al punto che fu necessario organizzare un servizio di elicotteri. Tanto pubblico, tanti soldi: e invece no.
Qui sta il punto: non c’erano recinzioni, a White Lake, e non c’erano biglietterie: gli stand per la vendita dei biglietti non erano mai arrivati. E dei biglietti, ovviamente, non c’era l’ombra. Nel primo pomeriggio, dopo una consultazione tra Lang, Kornfeld e lo staff, un avviso fu dato dal palco: “da questo momento il Festival è gratuito”. Applausi.

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