Pochi giorni fa, il 13 agosto, si è spento in un ospedale di New York, per le complicazioni di una polmonite, uno dei grandi miti della chitarra elettrica: Les Paul.
Tutti lo hanno ricordato, più che per le sue doti di musicista, come creatore del famoso modello della Gibson, che porta il suo nome. Eppure, nella classifica dei 100 migliori chitarristi di tutti i tempi, stilata da Rolling Stone, figura ancora al 46 posto, dietro Frank Zappa.
Fu uno degli artisti presenti al concerto inaugurale del famossimo Jazz at the Philarmonic il 2 giugno del ’44. Ha suonato con i più grande jazzisti, tra cui Nat King Cole, Bing Crosby, Chet Atkins. Nel ’78 è stato ammesso al Grammy Hall of Fame, e nell’88 nella Rock ‘n Roll Hall of Fame.
Jeff Beck, uno dei più grandi chitarristi elettrici del mondo, ammise in quell’occasione di “aver copiato da Les Paul molti più “licks” (moduli di esecuzione musicale) di quanti potrebbe ammettere”. Uomo di grandissima tempra, dopo essere stato coinvolto nel ’48 in un gravissimo incidente stradale che gli semidistrusse il braccio destro, istruì i chirurghi perchè glielo bloccassero in una posizione tale da potere suonare ancora la chitarra.
L’hanno prima aveva registrato per la Capitol Records un disco inciso nel suo garage, nel quale comparivano contemporaneamente 8 tracce di chitarra: aveva inventato la sovraincisione, oggi del tutto abituale, ma che allora costituì un fatto del tutto rivoluzionario.
Perfezionato nel ’50, il “Sel-Sync” divenne di uso comune dopo che lui ne dimostrò la praticità commissionando a sue spese alla Ampex la realizzazione di un registratore a otto tracce che permetteva di registrare la nuova traccia ascoltando contemporaneamente le tracce registrate in precedenza.
Dal 2004 suonava abitualmente tutti i lunedì all’Iridium, un locale di jazz nel cuore di Times Square. Nei miei frequenti viaggi a New York sono spesso sceso all’hotel di fronte, così il lunedì mi bastava attraversare la strada per andare a sentirlo. Per rimanere sempre colpito dal suo approccio fresco anche a novant’anni suonati. Conscio dei suoi limiti fisici (spesso spostava con la mano destra le dita della sinistra sul manico, quasi bloccate dall’artrite, per eseguire accordi con posizioni difficili). Era solito circondarsi di talenti giovanissimi: iniziava lui accennando un tema, e poi li lasciava suonare per la maggior parte del tempo, per la gioia dei jazzofili, che inoltre sapeva incantare con una quantità di aneddoti divertenti.
Aveva trovato un modo per invecchiare bene: restare curioso, cercare talenti nuovi, coltivare il senso dell’umorismo. Ci mancherà.
(Alberto Contri)