Ore 12.15 di sabato 16 agosto: si ricomincia. Il programma del Festival prevede una giornata di rock e psichedelia. L’inizio dello show è per i bostonian Quill, gente da rock psichedelico, seguiti dal rock blues della Keef Hartley Band (lui, Keef, era il batterista di John Mayall, padre del blues britannico). Finiti i due set introduttivi, ecco uno dei momenti topici: Country Joe McDonald, che sale sul palco quasi per caso per “intrattenere la gente” in attesa dell’arrivo di Santana. Country Joe si esibisce in un set acustico “piuttosto noioso” fino al momento in cui estrae dal cappello la canzone più politica di tutto il Festival: I feel like i’m fixin to die rag, filastrocca folk anti-militarista: «uno, due, tre, per cosa stiamo combattendo?» È uno dei momenti caldi di Woodstock: tutti in piedi per cantare contro l’intervento nel Vietnam, mentre Country Joe (uno che è pure stato in galera per una canzone contro Lyndon Johnson, Superbird) entra nella storia della musica. Dopo di lui ancora suoni folk con John Sebastian, cantante e chitarrista dei Lovin Spoonful capitato a Woodstock per caso (non era nel programma) e lanciato sul palco per un buon set acustico. È tardo pomeriggio quando Santana va in scena con la sua band. Quasi tutti completamente fatti di acidi e mescalina, i ragazzi (il batterista, Michael Schrive, non ha ancora 18 anni) di San Francisco danno il primo scossone elettrico al pubblico con otto pezzi di rock-latino per oltre un ora musica. Dopo di loro c’è spazio per il blues dei Canned Heat e per il rock-blues poderoso dei Mountain di Lesile West.
A questo punto si scatena un altro temporale estivo, la zona del palco si allaga, le strutture traballano. Lang e soci si mettono le mani nei capelli, anche perché tutto l’impianto elettrico inizia a lanciare scariche inquietanti. Quando i Grateful Dead salgono sul palco attorno alle 23, la situazione è assurda: i componenti della band sono tutti in acido, l’impianto è ai limiti della pericolosità, gli strumenti lanciano scosse ai musicisti, il palco è incrinato. Risultato? I Dead suonano solo quattro pezzi (St. Stephen, Dark Star, Turn on your love light…), un disastro.
Dirà poi Jerry Garcia, il bandleader: «Ogni volta che toccavo la chitarra prendevo una scossa. Non vedevamo il pubblico, non sentivamo gli strumenti, eravamo tutti in viaggio per non so dove. È stato uno dei nostri peggiori concerti. E infatti non abbiamo voluto che fosse inserito nel film».
Passano pochi minuti e le cose cambiano: i tecnici fanno un miracolo e la pioggia s’interrompe. Salgono sul palco i Creedence Clearwater Revival. Concerto enorme, con tanti classici, da Proud Mary a Suzie Q, uno dei top del festival. È notte fonda quando sale sul palco Janis Joplin, uno dei momenti più attesi. La cantante texana ha trascorso il sabato tra acidi e champagne e ha una nuova band, la Kozmic blues band: il suo show, che pure comprende tutti i suoi successi (da Piece of my heart a Summertime) è da dimenticare: lei stona e la band non è rodata. Per fortuna la folla apprezza, ma nei reportage da Woodstock (discografici e cinematografici) entrerà veramente poco della sua partecipazione.
Il trio di esibizioni con cui si conclude la seconda giornata del Festival è da infarto. Prima Sly and the family stone, un misto di soul, rhythtm’nblues e funky da far vibrare il più freddo degli ascoltatori, poi gli Who, che salgono sul palco alle 4 del mattino, con uno show micidiale di oltre due ore per venticinque canzoni (tutta l’opera rock Tommy e i loro hit migliori, da My generation a Summertime blues), durante il quale Pete Townshend abbatte con la sua chitarra l’attivista hippy Abbie Hoffman, salito sul palco “per dire qualcosa al pubbico”; per finire è la volta della band simbolo della stagione hippy di San Francisco, i Jefferson Airplane della bellissima Grace Slick. Tredici canzoni per loro, tra cui l’inno anarchico Volunteers, l’incantata Wooden ships, la potente Somebody to love e la lisergica White Rabbit. Ore nove di mattina. È già domenica. Chi riesce si schiaccia un sonnellino, in attesa dell’ultima, interminabile giornata di Woodstock.
(Walter Gatti)