Il Meeting di Rimini di quest’anno ospita uno dei compositori più amati dal grande pubblico: Ennio Morricone. Famoso in tutto il mondo per le indimenticabili colonne sonore di oltre 400 film, il compositore romano non ha mai smesso di dedicarsi alla Musica contemporanea. Questa sera, all’interno dell’Arena-spettacoli, sarà possibile ascoltare l’esecuzione di alcune composizioni di questo repertorio. In un’ampia intervista il Maestro si racconta ai lettori de ilsussidiario.net.
Quando ha inizio l’avventura della conoscenza della musica nella sua vita e quali padri ha incontrato nel suo percorso?
L’avventura è iniziata al Conservatorio Santa Cecilia di Roma grazie all’incontro con il Maestro Goffredo Petrassi. Era una gioia studiare con lui, non potevo che nutrirmi del suo insegnamento, nella musica come nella vita. Lo riaccompagnavo a casa dopo le lezioni per continuare a discutere, ricevendo in cambio un grande esempio di bontà, gentilezza, ma anche di rigore e severità.
Non insegnava a comporre come faceva lui. Era un maestro capace di far emergere le caratteristiche originali e uniche dell’allievo, forgiandole, correggendole e portandole alla perfezione.
Sembra una cosa normale, ma non è così. Altri grandi maestri, penso ad esempio a Franco Donatoni, hanno formato i propri studenti legandoli alla propria poetica, alla propria scrittura e al proprio grafismo.
Quando iniziò a scoprire le sue “caratteristiche originali” e a trovare una strada personale e originale?
Terminati gli studi al Conservatorio, dopo parecchie composizioni, capii che dovevo scuotermi, liberarmi da alcune reminiscenze accademiche, quindi azzardai (e oggi posso dire che fu la scelta giusta). Lavorai a tre composizioni molto complesse: Musica per undici violini, Tre studi per flauto, clarinetto e fagotto e Distanze per violino, violoncello e pianoforte. Brani molto diversi tra loro, che comprendono elementi di “aleatorietà” e di sperimentazione. Di qualche tempo dopo Suoni per Dino per viola e nastri magnetici (il cui uso allora era una novità), in cui la viola si sovrappone alla propria registrazione generando un’accumulazione in diretta, di fronte al pubblico.
Dopodiché, liberato da un certo “accademismo”, grazie al lavoro per il cinema e al rapporto stretto con l’orchestra ho imparato pian piano a farmi capire sempre di più dal pubblico, a portare un messaggio che la gente poteva comprendere, pur senza compromessi. Diciamo che si è verificata una “convergenza”.
Cosa intende per “convergenza” tra la sfera della musica assoluta e quella della musica al servizio dell’immagine? Concepisce questi ambiti del suo lavoro come del tutto indipendenti?
Sono due sfere indipendenti, dico però che nella mia produzione si sono avvicinate, sono meno distanti.
Nel cinema devo farmi capire, ma uso ugualmente delle tecniche che avrei usato nella musica assoluta, anche se in un ambito musicale diciamo “tonale”. Posso ad esempio usare la “serialità”, magari ridotta, a 7, o a 6 suoni… in modo che sia più chiara al pubblico.
Nella musica assoluta invece decido io le tecniche, il materiale di partenza, per rispondere alla necessità di esprimere un certo pensiero.
La convergenza è limitata alla tecnica di scrittura: nella musica assoluta dipende da esigenze strutturali, mentre nell’altro ambito, da ciò di cui il film ha bisogno.
Nella musica assoluta quindi esprime con più libertà la musica che ha a cuore, senza per questo dimenticarsi del suo interlocutore: il pubblico, le persone?
Anche nella musica da film esprimo me stesso, ma sono inevitabilmente condizionato. Mi riscatto da questo condizionamento inserendo “clandestinamente” elementi di complessità in grado però di arrivare all’ascoltatore.
Se è vero che il cinema costringe a occuparsi della comprensione del pubblico, nella musica assoluta si potrebbe teoricamente farne a meno, ma non è il mio caso. E questo non mi toglie la libertà di comporre come desidero.
Cosa pensa dell’annosa diatriba sul rapporto (o mancato rapporto) tra il compositore d’oggi e il grande pubblico?
A chi si sente impaurito o impreparato davanti alla musica contemporanea dico di avere la pazienza di riascoltare più volte ciò che a un primo ascolto può sembrare difficile, ostico. È come trovarsi davanti a una “scultura di suoni” che ha una forma, o una “non-forma”. Con pazienza si può entrare nel mondo del compositore ed è quello che lui desidera.
A un certo “disagio” e a questa difficoltà di comunicazione cercano di rispondere prodotti musicali di consumo, che si spacciano per innovativi. Come si distingue un innovatore, senza prendere abbagli?
Penso che oggi nella musica classica contemporanea un innovatore vero e proprio non ci sia e questo forse giustifica l’attesa che c’è. L’innovatore lo riconosceremo se saprà scrivere musica assoluta rigorosa rispondendo allo stesso tempo a un’esigenza di comprensione del pubblico.
Noto però che manca sempre di più la capacità di selezionare, lo spirito critico… una confusione che colpisce anche giornalisti affermati che prendono lucciole per lanterne. Con un po’ più di spirito critico si distinguerebbero gli innovatori, da chi innova solo se stesso.
La trentesima edizione del “Meeting di Rimini per l’Amicizia tra i popoli” è alle porte, per lei sarà un gradito ritorno e l’occasione di far conoscere il suo repertorio di musica assoluta. Cosa pensa della manifestazione e del titolo di quest’anno: “La conoscenza è sempre un avvenimento”?
È una manifestazione di grandissimo livello culturale, a cui partecipo sempre con grande piacere. A proposito del tema, nell’incontro con il pubblico parlerò della conoscenza in musica e di cosa significhi nella mia esperienza “l’ispirazione”. L’ispirazione per me è la fatica della conoscenza, la scoperta di noi stessi, di quell’idea iniziale da cui ha inizio l’espressione di sé. Ho un esempio interessante su questo, che però non voglio anticipare.
Oltre alle parole ci sarà spazio per la musica e si potranno ascoltare, tra le mie composizioni, Esercizi. Se il pubblico ascolterà con attenzione distinguerà il tema verdiano della Traviata, “Amami Alfredo”, esposto all’unisono. Seguirà un “caos canonico” nel quale gli esecutori avranno un certo grado di libertà. Pur nella complessità, questo repertorio sta ottenendo successo, come tempo fa a Ravenna, sotto la direzione di Riccardo Muti. Spero che al pubblico del Meeting piacerà.
(Carlo Melato)