«La musica è una calma notte di luna, un frusciare estivo di foglie, uno scampanìo lontano nella sera. È amore. Sorella della musica è la poesia e madre la sofferenza. Deve essere la somma totale delle esperienze del compositore».
È forse proprio per questa volontà decisa nel preservare il carattere “esperienziale” dell’esperienza musicale ad aver decretato l’isolamento del compositore russo da tutte le istituzioni ufficiali di composizione della prima metà del ‘900: per Sergej, la musica, lungi dall’essere un gioco intellettuale di forme astratte, parla della vita, è vita, serve a conoscere la vita.
Perciò, l’unico modo di ascoltare questi brevi brani scritti tra il 1892 e il 1910 è quello di mettere in gioco la propria esperienza di vita: «Le melodie suggestive di Rachmaninov, a volte tenere e malinconiche, a volte più energiche e drammatiche, che esprimono le più variegate sfumature del sentire umano, documentano, con la loro ultima pacatezza, lo spessore di umanità che le ha generate» (Luigi Giussani).
Il percorso tracciato dai 24 Preludi (di cui 8 verranno eseguiti al Meeting) può essere considerato come un insieme di pezzi autonomi (e, come tali, realizzabili separatamente e in sequenza libera): in effetti, proprio in sintonia con la natura stessa del genere, ciascun brano tende e riesce a cristallizzare uno stato d’animo particolare nella struttura essenziale e spesso brevissima di ogni singolo preludio. Eppure, molti segni rivelano relazioni interne e volute, che suggeriscono di ascoltare le tre diverse raccolte come tappe di un percorso unitario: non a caso, si comincia con la tonalità di do diesis minore e si finisce con quella di do diesis maggiore (o, enarmonicamente, re bemolle maggiore), dall’oscurità angosciante alla trasparenza solare del compimento.
Un file rouge: fin dalla prima infanzia, Rachmaninov aveva subìto il fascino delle campane convincendosi che esse fossero capaci di esprimere le diverse emozioni umane. Tanti preludi richiamano esplicitamente questa radice “popolare” dell’ispirazione, che l’autore, anche nel suo esilio dorato americano, ha sempre riconosciuto come sorgente ultima della sua identità: «Quando si identifica con la vita del popolo, la creatività del singolo tocca la sua maturità più grande; la maturità diventa totale e sempre più piena quanto più si identifica col popolo intero, implicandosi con la totalità della propria affettività e della propria creatività, fino a portare il popolo intero» (Luigi Giussani).



(Pier Paolo Bellini)

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