Giovanni Allevi al Palafiori per Sanremo Lab nei panni del docente.
“Io non credo nell’ispirazione. La musica non la creo io, è nell’aria, il compito è quello di saperla cogliere e darle concretezza. Quando gli spettatori si emozionano ai miei concerti vorrei essere io a chiedere loro l’autografo, perché rendono viva la musica che ho cercato di intercettare nell’etere e chiudono il cerchio. Compongo senza pianoforte, solo carta e penna, perché la mia manualità non condizioni il mio pensiero”.
I panni dell’insegnante però non sembrano metterlo a suo agio: “Detesto stare in cattedra. Posso sedermi lì in mezzo a voi? Io dentro ho tanta ansia, incomincia già al mattino quando sono ancora a letto nel dormiveglia. Per cercare di star calmo, specie prima di ogni concerto, cerco di creare un grande vuoto dentro di me, che mi tenga lontano dalla negatività, un mondo asettico che esiste al di là del mio stesso io”.
Alla domanda sui suoi gusti musicali il pianista marchigiano risponde: “Sono cambiate con l’età. Da bambino ascoltavo tutto il giorno la Turandot di Puccini, più tardi mi sono innamorato di “Così parlò Zarathustra” di Strauss, quella di “2001 Odissea nello Spazio” per intenderci, e poi del preludio di “Tristano e Isotta”di Wagner. Quando facevo le guardie a militare ascoltavo di continuo con il walkman un pezzo dello Zecchino d’Oro del 1991, che si intitolava “Il Corsaro Nero”. Ogni tanto ci vuole leggerezza”.



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