Quante sono le rockband italiane conosciute ovunque? Pochissime. Tra queste, sicuramente, gli Area. Inutile provare a definire il loro genere e i loro percorsi, perché si deve chiamare in causa il jazz, il rock, il progressive, la world music (che allora non esisteva neppure come definizione), l’avanguardia, la pura sperimentazione, la canzone politica.



In questi giorni un concerto “a sorpresa” vedrà parte degli Area ancora insieme sul palco: Ares Tavolazzi (basso), Paolo Tofani (chitarre) e Patrizio Fariselli (tastiere) saranno infatti i protagonisti al ITC Teatro di San Lazzaro di Savena, a due passi da Bologna, di “Stratosferico”, una due giorni dedicata all’esperienza artistica di Demetrio Stratos (scomparso nel 1979 a New York) e degli Area, ricordando in questo percorso anche Giulio Capiozzo, drummer della formazione, deceduto nel 2000.



Sarà un concerto… strano: una band senza il suo elemento simbolico. Eppure per tutti coloro che hanno amato gli Area, sarà un evento emozionante, una sfida a cui Tavolazzi, Fariselli e Tofani (che ricordo protagonista al parco Lambro ’76, con il suo esperimento di “caos popolare”: un sintetizzatore offerto all’utilizzo di tutto il pubblico; Tofani ora vive in una grande comunità buddista in Toscana) si sono offerti con coraggio.

Uno dei più acuti studiosi delle attività di Stratos è Francesco Avanzini, medico e studioso di fonetica, cinquantaduenne emiliano, uno dei massimi ricercatori delle problematiche cliniche connesse al canto, tra gli esperti coinvolti lo scorso anno nel progetto cinematografico “La voce Stratos”, il lungometraggio di D’Onofrio e Affatato uscito per ricordare i 30 anni dalla scomparsa del cantante. Con Avanzini abbiamo dialogato su questa straordinaria reunion degli Area e sull’eredità lasciata da Demetrio.



Nei prossimi giorni gli Area si ricostituiranno per un doppio concerto in ricordo di Demetrio Stratos, il cantante e sperimentatore scomparso nel 1979. Un concerto decisamente molto atteso: a suo parere gli Area sono stati la band più significativa della storia della pop music italiana?

Indubbiamente gli Area costituiscono un esempio unico e, direi, ineguagliato nel panorama della musica contemporanea italiana tout court. Infatti anche l’etichetta di progressive, sebbene pertinente, mi pare non esaurisca tutta la potenza innovativa del gruppo, la valenza internazionale delle sue composizioni ed esecuzioni e il fatto che, da quel laboratorio, siano usciti progetti più articolati in campo artistico.

Nel bene e nel male la produzione di questa formazione si è legata – con dischi come “Arbeit macht frei”, “Caution radiation Area” e “Maledetti” – a una stagione culturale in cui la chiave politica era padrona di ogni espressione artistica. A suo parere l’ esperienza Area come può essere letta oggi? Ha ancora “contemporaneità”?

Area è stato a mio parere innanzitutto una grande fucina di esperienze artistiche, non esclusivamente musicali. Composto come era da musicisti eccellenti, la cui coesione è stata senza dubbio determinata dalla condivisa visione politica e dal desiderio di rompere gli schemi formali, ha segnato un’ epoca ormai conclusa. Il suo grande contributo è stata la dimensione internazionale, impersonata da Stratos e fino ad allora mai raggiunta in Italia da un gruppo rock, e la novità di crogiuolo di forme e gusti musicali, la ricerca di nuovi stilemi che ha anticipato per buona parte la cosidetta world music.     

Non sono in molti a conoscere gli aspetti sperimentali del lavoro di Stratos sulla voce. Cosa ci può raccontare delle sue ricerche con l’Università di Padova?

Stratos è stato il più geniale sperimentatore vocale dell’era contemporanea. Quando ha scoperto e ha iniziato a elaborare un concetto nuovo e molto più ampio di vocalità, ha intrapreso un lungo percorso che lo ha portato dapprima a studiare e ad apprendere le tecniche vocali del canto armonico orientale e quindi a proporre un uso assolutamente innovativo e personale dello strumento vocale. 
A Parigi incontra il grande etnomusicologo Tran Quang Hai dal quale apprende rapidamente queste tecniche e da qui sviluppa un interesse straordinario per la produzione vocale e le potenzialità della voce che lo hanno portato da grandi foniatri. Infine approda a Padova dove l’indimenticato Franco Ferrero, uno degli ingegni migliori della fisica acustica italiana, ha studiato a fondo e interpretato il fenomeno Demetrio. Oggi disponiamo fortunatamente di questo patrimonio di registrazioni di eccezionale importanza che analizziamo e che non cessano di stupirci.

Al centro del suo universo c’era la voce. Era interessato solo all’esplorazione acustica dell’emissione vocale o c’era dell’altro?

Era un insaziabile, quando affrontava un argomento ne sviscerava i particolari con una passione e una serietà impressionanti. Sosteneva che la voce avesse perso gran parte del suo potenziale comunicativo, soprattutto in campo artistico, per essere asservita ad altre esigenze, meramente commerciali, e ingabbiata in schemi che ne avevano spento la valenza di espressione della totalità dell’individuo. Lui, diventato cantante quasi per caso, stava esplorando i limiti e le possibilità della voce umana fin dove nessuno, per quanto ne sappiamo, si era mai spinto.

Nel breve periodo newyorkese, Demetrio è uscito dall’ambito rock per approfondire percorsi artistici molto più completi. La sensazione è che il suo percorso di ricerca fosse solo all’inizio di nuove strade da percorrere… E’ una sensazione corretta? Dove voleva spingersi?

Questo è assolutamente vero, lo testimonia il suo itinerario, iniziato tra le mura di casa e approdato al gotha della musica d’avanguardia. Ascoltando i primi tentativi di emissione vocale della figlia Anastassia, viene attratto dalla sorprendente capacità plastica della voce in quanto veicolo di suoni, ancor prima che si faccia parola. Inizia da qui il suo viaggio e la sua ricerca di nuove vie di espressione fatta non solo di suoni ma di silenzi, rumori, linguaggio del corpo. Ho avuto occasione di vedere la sua biblioteca e impressiona la vastità degli interessi e la complessità degli argomenti che coltivava.  Nella sua ultima stagione stava esplorando i limiti della capacità umana di emettere suoni, era alla ricerca del puro suono, stava studiando il respiro come mezzo espressivo e il controllo mentale dei parametri della voce.

Domandona finale: cosa cercava Demetrio, l’uomo?

La sua era un’instancabile passione per tutti gli aspetti della comunicazione umana e della cultura, intesa nella sua accezione di “coltivazione”. Capisce che c’è un vuoto da colmare e inizia a insegnare, non solo nelle università, ma anche agli adolescenti delle scuole medie, per trasmettere la ricchezza espressiva della voce, ancora prima e oltre la parola e la semantica. Attraversa tutti i generi e le tendenze della voce cantata, dai canti bizantini della liturgia greco-ortodossa ai canti dei mongoli e dei pigmei, attratto come era dalla ricchezza delle tradizioni popolari nelle quali lui riconosceva il vero patrimonio da conservare e tramandare. Voleva arrivare al cuore.