Tesi, antitesi, sintesi. Un trittico ideale, che traccia un percorso che parte dalla derisione: lunedì su queste pagine avete letto un articolo su Arvo Part, che partiva da considerazioni sostanzialmente condivisibili per giungere a una valutazione molto negativa del compositore estone. Oggi propongo l’antitesi, una lettura degli stessi temi trattati da Enrico Raggi, per una valutazione sostanzialmente positiva. Sabato, la prova dei fatti: una recensione del concerto conclusivo della rassegna “Diario dell’anima – Omaggio ad Arvo Part” all’Auditorium Parco della Musica di Roma.



Ho detto “derisione”, e purtroppo mi pare sia la parola esatta. Come interpretare altrimenti la riga: “Vi piace la sua saggezza? Eccovene altra…” Oppure la conclusione perlomeno frettolosa, in cui si afferma che questa musica è tutta uguale, che è protestante (?!), che è noiosa. Bisognerebbe almeno rendere qualche ragione dell’interesse del tutto straordinario che suscita nel vasto pubblico, se è così noioso.
Comunque, lasciando stare la polemica, Raggi riporta diverse citazioni interessanti nel suo articolo. Vorrei dare una lettura diversa delle stesse parole.



1. “Il silenzio non ci è meramente dato, noi ci nutriamo di esso e questo nutrimento non è meno importante della stessa aria che respiriamo. Oggi siamo assediati dal superfluo, non c’è più distanza tra noi e le cose, non c’è lo spazio vuoto: la musica può aiutarci in questo discernimento”.
Proviamo a dire la stessa cosa in altre parole. Il silenzio sembra essere innanzitutto l’assenza di parole e suoni. Ma questo è solo la superficie. Non si cerca il silenzio per non sentire, o per astrarsi dalla vita. All’opposto, si desidera il silenzio per poter vedere più in profondità, per poter ascoltare le parole più importanti, spesso soffocate o nascoste. “Non si può vedere un quadro se si è a un centimetro di distanza”. Si può dire ancora meglio, come ha fatto Giussani: “Il silenzio è la nostra memoria riempita dalla coscienza di appartenere a Gesù”. Ma per rimanere nel puramente laico, il silenzio è comunque la condizione di apertura necessaria all’ascolto. Si può sentire rumori anche da distratti, ma senza silenzio non si può ascoltare.



2. “Qual è il significato di creatività? Ci sono milioni di compositori così creativi da far paura. Si può annegare nelle fogne della creatività del nostro tempo. Ridurre al minimo, ridurre in frazioni. Questa fu la grande abilità di tutti i grandi compositori. Quando noi vogliamo rendere più forte un albero, un arbusto, lo potiamo a primavera, ed esso riprende a crescere con nuova linfa. E’ doloroso amputarlo di alcune sue parti, ma solo così crescerà sano e rigoglioso”.

Magari non piace il tono o le immagini campestre. Ma la domanda che pone è seria. Cosa è la creatività? Coincide con il nuovo, ciò che non è mai stato fatto prima? Se sì, si finisce presto per esaurirsi in “estetiche del brutto”, e nella dispersione delle forze in una ricerca sempre più affannata di colpire o scandalizzare. Chi è più creativo, uno Stockhausen che mette i suoi strumentisti in elicotteri – trovata geniale e folle, da pubblicità, irripetibile e quasi ineseguibile – oppure un Bach, che raccoglie, abbraccia, sistema, e esprime secoli di progressivo arricchimento polifonico? Il creativo è chi taglia con la tradizione, o chi la re-attualizza, così facendola rivivere e crescere? Chi è più grande, chi si rifiuta di stare sulle spalle di nessuno, o chi accetta di essere “nano sulle spalle di giganti”? Scusate l’immagine troppo usata, ma rende l’idea.

Nel brano citato, Part insinua che siamo andati talmente lontano dalle radici che bisogna operare un ritorno agli elementi essenziali della musica per dare nuova vita alla pianta, che non è soltanto la musica del compositore estone, ma tutta la musica. Forse lui direbbe, tutta la cultura. Si può discutere questo, ma mi pare significativa la domanda, e anche la strada intrapresa. La musica di Part cerca nutrimento nel passato, senza essere involuta. Non è soltanto un nostalgico di un passato perduto. E’ anche muratore, costruttore di un possibile futuro.

3. Circa l’accusa che è tutto uguale. Lo dicono anche del gregoriano, anche di Bach, anche di Haydn. Solitamente significa che non si ha ascoltato la musica, ma soltanto sentito. Basta paragonare la Passio che Raggi cita al fiato sospeso di Fur Alina, come lo stupore per un fiore delicato, o alle “variazioni” dei Magnificat antiphons, dove si percorre una gamma di sentimenti impressionante, dalla gioia alla trepidazione, dinnanzi all’Incarnazione.

Si può anche essere d’accordo che i sentimenti di molte opere sono tendenzialmente sul penitenziale, almeno al primo ascolto. Ma non dimentichiamo che stiamo parlando di un estone che ha vissuto il peggio di ciò che il ‘900 aveva da offrire. Che lui ha poi trovato sostegno e ispirazione nei testi e nella tradizione prima ortodossa, e poi cattolica, non è forse un motivo di stima? Dobbiamo fargliene una colpa, se non ha incontrato la Chiesa Trionfante dietro alla cortina di ferro?

4. Un’ultima nota personale. Ciò che più amo in Part è la sua fascinazione per il suono. Ogni nota gli è interessante; molte sono anche amate, ascoltate a lungo, meditate. Mi affascina un po’ come i quadri di Rothko, dove l’apparente banalità si dischiude lentamente nella contemplazione di sfumature inattese, profondità insperate. Oppure si può paragonare al tramonto, dove Dio gioca con i colori del cielo. Dobbiamo forse dire che Dio è astratto, perché quei colori non “significano” qualcosa? Non si può forse amare l’essere così come si manifesta, senza dover per forza trovare un “sub text” o un significato allegorico, senza rappresentare qualcosa, ma semplicemente presentare il suono? Non è forse proprio questa, la musica?