E così ci siamo appena lasciati alle spalle  la prima decade del Terzo Millennio. Una volta i decenni segnavano la storia del rock: gli anni Cinquanta in cui nacque questo genere musicale, gli anni Sessanta delle utopie, delle droghe e della canzone di protesta, i Settanta del disimpegno e del rifugio nel privato, ma anche dell’anarchia punk. Già gli anni Ottanta con la loro pochezza hanno reso superfluo questo scandire i momenti, ma ancora ci è piaciuto definirli come il decennio del videoclip e del look ostentato.



Gli anni Novanta? Un grande boh, se si eccettua il sussulto grunge. Ancora più difficile è definire cosa sono stati gli anni Zero del Duemila, i Noughties come li chamano gli americani, che già portano nel loro computo nominativo una simbologia bella evidente: gli anni del nulla? Siti musicali e riviste internazionali in questi giorni si stanno sbizzarrendo a fornire le loro classifiche dei migliori dischi del decennio, mentre in Italia l’evento sta passando inosservato.



Il rock, in un certo senso, ha ormai ben poco da dire: sono stati questi gli anni del riciclaggio infinito di formule sonore sperimentate per decenni. Gruppi come i White Strips, osannati come portavoci del nuovo verbo rock, nel loro macinare riff e gridolini rubati ai Led Zeppelin, sono un simbolo di questa tendenza.

In Inghilterra, gruppi e gruppetti riprendono formule sonore più vicine nel tempo, gli U2 su tutti, e certo punk all’acqua di rose. È il pop, quello più innocuo, a dominare nelle classifiche, insieme a quella che un tempo si definiva black music, oggi ripetizione (anche qui) senza ritegno di quello che inizialmente era un tentativo brillante, il rap e l’hip-hop music.
Anche gruppi che hanno lasciato negli anni Novanta testimonianze brillanti, come ad esempio i Radiohead o i Pearl Jam, non sono più riusciti a trovare formule espressive altrettanto valide, perdendosi nell’autoreferenzialismo. Continua…



La stessa stanchezza ha conquistato anche i grandi vecchi, i superstiti della decade d’oro. Bob Dylan, Neil Young, gli Stones, Paul McCartney, vivacchiano producendo opere ricche di grande professionalità, ma spesso superflue se paragonate con quanto da loro prodotto in gioventù.
Attenzione: tutti costoro, giovani e vecchi, se in studio non trovano più momento di lucidità, dal vivo si propongono ancora come ottimi performer in spettacoli trascinanti ed emotivamente vivi. Sarà per questo che i dischi non si vendono più, mentre i concerti continuano a fare il tutto esaurito?

Le cose più interessanti sono infine giunte da una categoria ritenuta obsoleta: i loro dischi si rivolgono a pochi cultori. Sono i songwriter (e i gruppi neotradizionalisti che si rifanno al folk pre rock’n’roll), un po’ da ogni angolo del mondo, dall’Australia agli States passando per l’Inghilterra. E’ un dato positivo, che la voce, la nuda voce con pochi abbellimenti, torni protagonista seppur lontano dagli schermi televisivi o dai network radiofonici. Ancora una volta, le emozioni, i dolori, la passione emergono a testimonianza di una esigenza viva e pulsante nel cuore dell’uomo anche negli anni Zero del Terzo Millennio.

Quella che segue non è certo una lista esaustiva dei migliori dischi del decennio, ma una guida molto personale ai dischi che forse sono sfuggiti ai più.

1. Wilco, A Ghost is Born, 2004
2. Wilco, Yankee Hotel Foxtrot, 2002
Due dischi della band di Chicago, a pari merito. Potrebbe essere un unico disco. Un grande, grandissimo disco. I Wilco sono la miglior rock band del terzo millennio: geniali, imprevedibili, innovativi, ma anche tradizionalisti. E a differenza di quelli degli anni Zero, loro (Jeff Tweedy) sanno scrivere grandi canzoni e, ancor di più, testi che hanno un contenuto. Totali.

3. Bob Dylan, Love and Theft, 2001
Non meriterebbe di stare fra i cinque migliori dischi di Dylan, ma alla fine della fiera il grande vecchio dimostra di avere ancora una marcia in più rispetto ai suoi coetanei. L&T avrebbe potuto essere suonato, cantato e prodotto meglio, ma per aver scritto un pezzo come Mississipi chiunque venderebbe la madre. Facendo musiche che precedono l’era del rock’n’roll, Dylan fa uno dei migliori dischi rock della decade. Onesto, come dice lui, con se stesso: honest with me.

4. Shelby Lynne, Just a Little Lovin’, 2008

Minimale e raffinato, suonato e registrato come 50 anni fa, con alcuni dei musicisti che lavoravano con Frank Sinatra. Una voce che spacca, impietosa e consolatoria allo stesso tempo. E alcune delle più belle canzoni del Novecento, quelle che cantava l’immortale Dusty Springfield. Per cuori infranti.

5. Nick Cave and the Bad Seeds, No More Shall We Part, 2001
Il disco dove l’artista maledetto fa finalmente pace con se stesso, le donne e Dio. Caccia il diavolo via di casa, perché a casa c’è Lui: God Is in the House. Musicalmente, uno dei suoi più intensi e raffinati lavori di sempre, con Leonard Cohen ben fisso nel cuore. Trascendente. Continua…

6. Cowboy Junkies, Trinity Revisted, 2007
Vent’anni dopo, la band canadese torna sul luogo del delitto, dove incisero il primo disco: una chiesa. Con loro alcuni ospiti, Natalie Merchant, Ryan Adams e Vic Chesnutt. Nel frattempo i Junkies hanno imparato a suonare (e bene) e portano il loro vecchio folk noir in aeree psichedeliche e noisy. Pauroso.

7. Aimee Mann, Bachelor n, 2, 2000

La Joni Mitchell del terzo millennio? Anche no. Americana, ma con il cuore tra Beatles ed Elvis Costello. L’incrocio tra America e Inghilterra è rischioso, ma lei ha classe da vendere: una voce affettuosa, ma anche tagliente, canzoni geometriche, tra folk ed elettronica, in cui l’amore viene psicanalizzato. Quando pop non è una parolaccia.

8. Bruce Springsteen, Devils & Dust, 2005

E’ in versione songwriter intimista che il Boss del terzo millennio dà il meglio, sorpassando la roboante, ma in fondo effimera nostalgia della E Street Band. Questo è il suo disco “acustico” migliore di tutti: tra Warren Zevon e il primo Tom Waits. Desertico.

9. Fleet Foxes, Fleet Foxes, 2008
Fantasmi che escono dalle foreste di Twin Peaks: il folk ritrova la sua strada nel mondo ipertecnologico e computerizzato. Chitarre acustiche e voci che armonizzano come i Beach Boys per riaffermare quello che c’è nel cuore dell’uomo: desiderio di infinito. Ancestrale.

10. Eddie Vedder, Into the Wild, 2007
Il cantante dei Pearl Jam trova, da solo, la sua voce. Che è una delle più belle della storia del rock, ma finalmente ci sono anche le grandi canzoni. E Society potrebbe essere la più bella del decennio (ma non l’ha scritta lui). Se Walt Whitman fosse stato un cantante rock.

11. Queens of the Stone Age, Songs for the Deaf, 2002

Il rock del Terzo Millennio è riciclaggio del riciclaggio, White Stripes su tutti. Almeno i Queens suonano come se non dovessero insegnare niente a nessuno, ma solo per salvare se stessi. Che è quello che fa la differenza. E quando hai a bordo Dave Grohol, Mark Lanegan, Josh Homme, Dean Ween, come si fa a fare un disco brutto? Vitaminizzante.

12. North Mississippi All Stars, Shake Hand with Shorty, 2000
Gli eredi della Allman Brothers Band e dei power trio anni Sessanta, con in più sentimento punk e anche hip-hop. Il Sud degli States risorge in tutto il suo orgoglio e potenza sonora. Blues del Terzo Millennio.

13. Gov’t Mule, The Deep End, 2001
Mostruosi. Per tecnica e sentimento. Un disco totale che passa in rassegna tutto il meglio di quanto il rock ha prodotto in quarant’anni. Warren Haynes è senza dubbio il miglior chitarrista della decade, e qui ci sono anche un sacco di grandi canzoni. Epico.

14. Black Crowes, Before the Frost, 2009
Circa un ventennio prima i Corvi Neri avevano ridato dignità e credibilità alla musica rock. Oggi tornano a rivendicare il loro ruolo di anello di congiunzione tra i 70s e l’era moderna. Biblici.

15. The Word, The Word, 2001

Metti insieme i North Mississippi All Stars, il formidabile tastierista John Medesky e l’incredibile steel guitarist Robert Randolph e avrai il più fantasmagorico disco strumentale da secoli. Blues, jazz, rock e gospel sotto la stessa bandiera: good vibrations.

16. Xavier Rudd, Solace, 2004
Biondo, surfista, australiano. Alterna la chitarra slide suonata come se fosse Ben Harper al didgeridoo degli aborigini. Il mix è affascinante: canzone d’autore globale, tra ricordi di California anni Settanta e l’alba del mondo. Oceanico.

17. The Tallest Man on Earth, Shallow Grave, 2008
L’uomo più alto del mondo è svedese, ma suona come un folksinger del Greenwich Village degli anni Sessanta. Ma a differenza di allora, le sue canzoni non hanno niente di ottimista e invece sprigionano tutta l’angoscia del Terzo Millennio. Profondo.

18. Jakob Dylan, Seeing Things, 2007
Figlio di cotanto padre, si lascia alle spalle le tentazioni pop della sua band, i bravi Wallflowers, per affidarsi a voce e chitarra acustica. Lo accompagna lo stregone dei produttori, Rick Rubin. Intenso.

19. Lambchop, Nixon, 2000

“Nashville most fucked up country band”: come mettere insieme il Philly sound dei 70s e le suggestioni da alternative country. Musica schizoide, ovviamente, ma ricca di fascino. L’alternativa dell’alternativa.

20. Ryan Adams, Heartbreaker, 2000
Avesse continuato a fare dischi di questo livello (esordio solista dopo la felice avventura dei Wiskeytown) avrebbe potuto diventare il miglior songwriter della sua generazione. Invece si è bruciato il cervello. O esaurito ogni talento. Peccato.

21. Tinariwen, Aman Iman, 2007

Se il blues torna alla Madre Africa. Anzi, al deserto. Loro sono gli Uomini Blu, i Tuareg del Sahara, li ha scoperti Robert Plant e cantano la fierezza e la libertà della loro razza. Cosmico.

22. Glen Hansard & Marketa Inglova, Once, 2007
La sorpresa del decennio. Celtic soul con nel cuore Van Morrison e la capacità di cantare l’amore, quello vero, quello al destino dell’altro, come ben pochi. Cinematografici.

23. Johnny Cash. American V, 2006
Non il migliore della serie American Recordings, ma il più toccante. Postumo, registrato con la consapevolezza che il proprio viaggio è giunto quasi al capolinea e nel ricordo della moglie che lo sta aspettando “up in heaven”. Un uomo solo davanti a Dio. A legend in his own time.

24. Joe Strummer & The Mescaleros, Streetcore, 2003
Postumo anche questo, diventa il miglior disco dello Strummer solista. Folk, rock’n’roll, reggae, dub, ma soprattutto una tensione e una onestà che non hanno pari. Gone too soon.

25. Neil Diamond, 12 Songs, 2005
Neil fucking Diamond? A parte che ha scritto alcune canzoni strepitose anche quando era un poppettaro, qui con Rick Rubin – sempre lui – si racconta in completa solitudine, con una voce tra le più belle e una manciata di brani superlativi. Continua…

26. Kings of Leon, Only by the Night, 2008
Non hanno fatto un disco brutto i Kings, un padre predicatore e canzoni, come dicono loro, tra Jack Daniel’s e Spirito Santo. Io preferisco questo perché è il più divertente e al tempo stesso epico. Come se gli U2 fossero una band del Sud degli States.
27. Decemberists, Picaresque, 2005
Sono dei poeti, sono dei sognatori, sono americani, ma sembrano gli eredi della grande stagione folk inglese di fine anni Sessanta. Dream folk pop.

28. Barzin, Notes to an Absent Lover, 2009
Iraniano di origine, canadese di adozione. Tra Cohen e Dylan, compone il Blood on the Tracks del Terzo Millennio. Sanguinante.

29. The Fireman, Electric Arguments, 2008
Paul McCartney torna a divertirsi e a divertire come ai tempi dei Beatles più sperimentali. E ci mette anche delle gran belle canzoni. Psichedelico senza droga.

30. Bob Dylan, Christmas in the Heart, 2009
I dischi natalizi sono sempre orribili, a parte quelli di mezzo secolo fa. Il grande vecchio spazza via in un colpo tutta la patina mielosa e restituisce dignità a un genere, spostando le lancette indietro di cinquant’anni. Gioioso e religioso.

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