Nei primi anni Sessanta la musica rock e pop non era un argomento da giornale. Negli Usa l’uscita dei dischi di Dylan, di Elvis o dei Beatles non era un evento da conferenza stampa o da prima pagina. Se ne sapeva qualcosa per passaparola nelle settimane successive alla distribuzione nei negozi di dischi.

È solo verso la metà del decennio che un manipolo di giovani cronisti inizia a dedicarsi al “giornalismo musicale”, genere destinato (nel bene e nel male) a invadere anche gli interstizi del mondo della carta stampata. Una delle primissime firme del giornalismo rock è stata quella di Ellen Sander, firma di punta di celebri testate californiane come “Realist”, “Saturday’s review” e “Los Angeles Free”.



Ora che è diventata nonna, Ellen ha abbandonato la musica per dedicarsi alla poesia e alla scrittura creativa su web, ma i suoi libri – in primis, Trips, paranoica descrizione della sua vita tra interviste e alcool, palcoscenici e letti, dischi e droghe nel Greenvich village di New York – rimangono come sua testimonianza di quegli anni. In epoca di “anniversari” le abbiamo chiesto – in un certo modo proseguendo la recente intervista con John Waters – un suo giudizio sul rock di oggi a confronto con quello dei suoi anni giovani.



Ellen, ci vuoi raccontare quando e perché hai iniziato a scrivere di rock’n’roll?

Ho iniziato nel 1966, perché ero davvero entusiasta di quello che stava accadendo nella musica giovanile e c’erano pochissimi giornalisti che ne scrivevano. Ma è stato nel 1967, seguendo il Festival di Monterey, che ho deciso di farne la mia professione. In quei giorni ero perdutamente innamorata del rock e sentivo di avere la missione di portarlo all’attenzione dei media e del grande pubblico.

Se torni con la memoria agli anni Sessanta, cos’era il rock per te?

Direi che era la mia quotidianità, il mio vissuto e il mio stile di vita. Mi alzavo per i dischi che dovevo ascoltare, per le interviste che dovevo fare, per i concerti a cui dovevo assistere. Era il messaggio di una generazione, di un pensiero e di una scelta politica che emergeva attraverso un gruppo di artisti che sfidava la società e le sue ipocrisie. La cultura stava cambiando e il rock guidava questo cambiamento. La moda, le arti visive, i film, la musica: tutti questi linguaggi erano coinvolti nella liberazione di valori creativi.



Hai scritto il più importante libro su Crosby, Stills, Nash and Young e un titolo capolavoro come “Rock’n’roll is here to stay”. Tu e gli altri capostipiti del giornalismo rock, ad esempio Robert Christgau e Dave Marsch, avete mai avuto la percezione che stavate scrivendo un piccolo pezzo di storia del XX secolo?

Credo che l’insieme del mio lavoro sul rock – come quello degli altri colleghi di quel tempo – sia un pezzetto di storia degli anni Sessanta. Non credo che potrei raccontare altre cose, perché non mi sento una scrittrice di storia, ma di cronaca.


Nel tuo “Trips” c’è proprio la fotografia nuda e cruda del “sex and drugs and rock’n’roll”. Cosa rimane oggi? Quali sono stati i pregi e i difetti di quello stile di vita?

Sono orgogliosa di aver scritto quel libro quando ancora tutto era in azione. Nel senso che non è un libro di memorie e di retrospettiva, ma un libro di cose che stavano accadendo, a me e ad altri. La nostra generazione ha ridefinito il concetto stesso di musica popolare, ha sviluppato nuove norme sociali e ha posto le basi per uno sviluppo tecnologico incredibile. Forse il nostro stile di vita era un po’ troppo ludico e folleggiante, ma eravamo giovani ed eravamo alle prese con un nuovo mondo. Quando abbiamo iniziato ad avere famiglia, ci siamo immersi in nuove attività e abbiamo dovuto insegnare dei valori ai nostri figli valori, abbiamo avuto l’opportunità di guardare indietro al cammino che avevamo percorso. E abbiamo fatto altre scelte. Diversissime.

Pochi giorni fa abbiamo ricordato la scomparsa di Janis Joplin.

Lei aveva un talento enorme. Era una vera forza della natura. È stato tragico vederla morire così presto…

… se è per questo anche Hendrix e Morrison…

Non credo si possa mai esagerare sull’importanza di Jimi, Janis e Jim, gente che ho conosciuto bene da vicino. Fortunatamente il loro lavoro è stato registrato e filmato e credo che loro continuino a ispirare coloro che apprezzano la loro eredità di artisti. Erano unici e spettacolari. Io però vorrei anche ricordare Michael Jackson in questo corrente di ricordi.
Secondo  me era qualcosa di molto vicino a un genio della nostra musica e io credo che i suoi funerali televisivi e il grande cordoglio che si è espresso su internet siano stati l’ultimo grande momento collettivo del rock’n’roll.

Sei così entusiasta di ciò che ha realizzato Jackson?

Si. Lo hanno chiamato King of Pop, e secondo me era talentuoso e consapevole di se come lo erano le rockstars degli anni Sessanta.

E il rock di oggi come lo vedi?

Mi sembra solo autoreferenziale, ma è anche vero che sono cambiati i tempi. La distribuzione della musica pop è così diffusa, accettata ed estesa, che sembra non avere più effetti rivoluzionari. Nelle canzoni non c’è più forza sociale e politica e oggi la musica sembra più una componente fissa del potere del divertimento, che una spinta sociale. Tanta gente adora Lady Gaga e i Jonas Brothers e non c’è nulla di male, si vede che queste cose vano bene per l’attuale generazione. Di sicuro credo non siano personaggi profondi e autentici come quelli della mia giovinezza…


Cosa ascolti attualmente, cosa apprezzi?

Non ascolto molte cose nuove. La musica pop è così frammentata in generi che non è facile seguirla. I miei gusti attuali vanno verso il jazz, la musica sinfonica e il blues. L’unica musica che ascolto in modo prioritario è quella in cui trovo una forte impronta poetica, e parlo di Lori Anderson, Patty Smith e Leonard Cohen.

Ma in fondo, credi che il rock’n’roll sia ancora un modo potente di comunicare?

No. Assolutamente no.

Però, drastica… Ho apprezzato una frase sul tuo sito web: “non sono una nostalgica, il presente è più importante del passato”

L’unica cosa che conta è il presente. Non puoi mutare cosa è accaduto prima e se  ti concentri su ciò che è andato, perdi il presente e limiti il futuro. Non sono fatta per “the good old days”. La vita attuale è più importante e richiede molta più attenzione, vigilanza e apprezzamento che quella passata. La prima volta in cui ho stretto mio nipotino tra le mie braccia – ora che sono nonna – ho sentito il tempo e la vita, le generazioni del mio sangue pulsare dentro di me. Quando sei coinvolto, come lo ero, io in un mutamento pubblico, ne devi far parte, è la tua vita. Il lavoro e le esperienze dei miei anni giovani sono un importante influenza, certo, ma non sono la forza che guida il mio impeto di oggi.