Coi ‘se’ e coi ‘ma’ la storia non si fa, dicevano i nostri vecchi, ma ci resta in mente l’idea fissa che, se Rino Gaetano fosse vivo, oggi avrebbe compiuto sessant’anni.

Come e forse ancora più di Ivan Graziani, già ricordato in questa sede, Salvatore Antonio Gaetano risulta essere una sorta di variabile impazzita nel panorama dei cantautori anni Settanta; di certo sfugge all’immagine popolare incarnata dal quadrumvirato Dalla-De Gregori-Guccini-Venditti (quelli di allora, naturalmente) poiché rifiuta nettamente la ‘ideologia ideologicamente ideologizzata’- per citare un altro protagonista di quegli anni, Ivan Della Mea- non rifugiandosi in schematismi di comodo, ma optando per un approccio obliquo alla realtà, meno dogmatico di quello dei suoi colleghi ma forse per questo più capace di parlarci oggi con la stessa freschezza di allora, in una ‘riflessione profonda e attenta senza ideologie di fondo’, come afferma un suo attento commentatore, Fernando Fratarcangeli.



Anche in questo caso, come per il citato Graziani, gioca un ruolo importante la collocazione socio-geografica: Rino nasce in Calabria, a Crotone, il 28 ottobre 1950, e piace pensare che la sua origine dalla Magna Grecia faccia di lui una sorta di moderno aedo, intento a raccontare le storie di sempre ma da un’angolazione ogni volta nuova, con un gusto del particolare consueto eppure presentato tutte le volte con una freschezza che lo carica di significati imprevisti. A undici anni Rino si sposta con la famiglia a Roma e si iscrive ad un istituto per geometri, come la stragrande maggioranza dei musicisti degli anni Sessanta, figli di ambienti familiari ancora devoti al ‘pezzo di carta’, ma nello stesso tempo inizia a suonare la chitarra e a interessarsi di musica e teatro. Nell’aprile 1970 il cantante registra la sua prima canzone scritta a diciotto anni, La Ballata di Renzo, su una lacca pubblicata solo nel 2009, e già l’argomento non è riducibile a niente di quanto andava in quegli anni (nel 1970, ricordiamolo, Venditti sfonda con Roma Capoccia): nella ballata si parla di un incidente stradale e di un pover’uomo rifiutato da cinque ospedali prima di morire, fatto che per agghiacciante coincidenza capiterà davvero a Rino Gaetano undici anni dopo, insomma quanto basta per capire che qui non troveremo né proclami sbandierati né tirate pseudo-filosofiche. Se vogliamo trovare un’altra coincidenza, il cantante chiamerà il suo gruppo accompagnatore ‘Crash’, che significa tanto ‘schianto’ quanto ‘incidente stradale’.



 

Un’altra canzone significativa, scritta poco dopo, è Ad esempio a me piace il Sud, che però diventerà celebre prima in un altro Sud- il Sud America- grazie alla versione in spagnolo incisa da Nicola di Bari; subito dopo, Rino Gaetano entra alla IT, una marca collaterale della RCA dedita ai giovani talenti, grazie ai buoni uffici di Vincenzo Micocci, produttore quanto mai lungimirante ma rimasto soprattutto famoso per la sprezzante invettiva di Alberto Fortis- tenuto da Micocci in area di parcheggio per tre anni- nella celebre Milano e Vincenzo (Micocci, ad ogni modo, non reagirà, anzi sceglierà come titolo per la sua autobiografia, pubblicata da Coniglio Editore, proprio la velenosa frase con cui inizia il ritornello, Vincenzo io ti sparerò).



 

L’esordio passa quasi inosservato anche perché Rino Gaetano sceglie di celarsi sotto lo pseudonimo bislacco di ‘Kammamuri’s’, burlesca variazione di origine salgariana, ma comunque i due brani del singolo annunciano un talento forse ancora acerbo ma stuzzicante: il lato A, I Love You Maryanna, può essere inteso come una dichiarazione per una donna o per un’erba, la celebre ‘Maria Giovanna’ che appena tre anni prima Giorgio Gaber aveva chiamato per nome in una canzone, mentre il lato B, la frizzante Jacqueline condotta su una spigliata cadenza quasi-dixieland, già rivela nel testo un’insolita acutezza nell’accostare immagini all’apparenza casuali ma governate da una logica sotterranea: si veda solo la prima strofa che recita Se butti il fango al sole/ Ritorna su di te/ Conosco una ragazza/ La pensa come me/ Al night non vuol venire/ Perché vuole il caffè/ Se butti i soldi al gioco/ Tu non dai nulla a me, nella quale troviamo una scombinata storia d’amore incorniciata da due sentenze morali piuttosto nette. Sembra quasi che Rino Gaetano, fin dal suo esordio, intenda recitare il ruolo del giullare, del buffone di corte, che deve sì divertire ma che- unico fra tutti- ha un’assoluta libertà di linguaggio e può dire quel che pensa sotto la maschera della giocosità.

 

L’anno dopo il primo album, Ingresso Libero, passato abbastanza inosservato, ma nel febbraio del 1975 giunge il botto pazzesco con Ma il cielo è sempre più blu, in apparenza una semplice filastrocca, ma in realtà un vivace commento sociale sull’Italia degli anni di piombo, condotta su un grintoso tappeto rockistico guidato dalla viscerale chitarra di Vincenzo Caporaletti dei Pierrot Lunaire (oggi docente universitario a Firenze); le nascenti radio libere adottano il brano che rimbalza su tutte le frequenze e farà entrare per sempre Rino Gaetano nella psiche degli italiani.

 

 

Da qui parte la grande avventura poetica e musicale di Rino, sempre come detto isolata dalla corrente principale per quella sua abilità di dire cose serie senza sembrare di prendersi sul serio: con Mio fratello è figlio unico si affronta il tema dell’emarginazione, con Escluso il cane quello della solitudine fra la gente, e così via. L’apice, forse, della creatività del cantautore si ha con Aida, altro commento stavolta sulla storia del Paese, ispirato tematicamente- come ammise lo stesso Rino- all’epico film Novecento di Bernardo Bertolucci ma con quintali di retorica in meno, il tutto su una base musicale che riecheggia addirittura No Woman No Cry di Bob Marley, all’epoca (1977) ancora un oggetto sconosciuto per molti.

 

Nel febbraio 1978, Rino Gaetano si presenta a Sanremo con Gianna (che in origine doveva intitolarsi Anna), classificandosi terzo ma surclassando tutti nelle vendite, la qual cosa lo spiazza profondamente, tanto che in quell’estate la sua vena satirica si incrudelisce con Nuntereggaepiù, ritratto di un’Italia già avviata verso la teledipendenza cronica, o con Capofortuna, ritratto dell’uomo potente che sa tutto, dà regali a tutti e pensa per tutti, altra profezia sinistramente reale. L’anno dopo Rino Gaetano passa alla casa madre RCA e tenta nuove strade con canzoni come Ahi Maria, registrata a Città del Messico, oppure E io ci sto, ulteriore apoteosi della solitudine battagliera (ma io con la mia guerra/voglio andare ancora avanti/ e costi quel che costi/ la vincerò non ci son santi) esaltata dal gustoso arrangiamento jazzistico di Giovanni Tommaso.

 

Dopo un tour con Riccardo Cocciante e il New Perigeo, diretto appunto dal citato Tommaso, Rino Gaetano sembra pronto per un nuovo corso, come testimoniano gli inediti emersi di recente, quando la notte del 2 giugno 1981 si scontra in macchina contro un camion: come detto, ben cinque ospedali non avranno posto per lui, quasi a compimento della sua profezia della Ballata di Renzo.

 

Oggi Rino Gaetano è tornato a Sanremo con la sua inedita In Italia si sta male, presentata nel 2008 da Paolo Rossi, e torna sempre più di frequente nella pubblicità, pur se resta di pessimo gusto l’uso della sua Berta Filava per uno spot FIAT, viste le circostanze della sua morte: di certo quell’incidente ci ha privato del suo sguardo disincantato e insieme realista, e per fortuna ci restano le sue canzoni come colonna sonora di questi tempi che non sarebbero piaciuti neanche a lui.