I “Vespri” di Sergej Rachmaninov furono eseguiti per la prima volta a Mosca nel 1915. Vi si fondono il portato della tradizione e la genialità dell’artista, capace di cogliere la profondità dell’espressione antica e di tradurla in una forma nuova. Si avverte la pietà amorosa per gli uomini che in quel momento sono investiti dalla tragedia della prima guerra mondiale.



La vita di Sergej Rachmaninov, nato nel 1873 nei pressi di Novgorod da una antica famiglia aristocratica decaduta, fu dedita alla musica fin dall’infanzia. Cresciuto con un maestro inflessibile, si diploma in pianoforte all’età di soli 18 anni e inizia la carriera di concertista.

A 27 anni, la crisi: l’incertezza del futuro lo spinge all’alcool, dalla cui prigionia esce con l’aiuto di uno psichiatra. Alla vigilia della rivoluzione fugge in Scandinavia e da lì negli Stati Uniti, dove riprende la vita di concertista e tenta di ricreare nella sua abitazione l’ambiente e l’atmosfera della patria. Sradicato e solo, cantore della nostalgia degli smisurati paesaggi russi e degli echi della liturgia ortodossa, muore nel 1943, straniero in patria e all’estero.



L’andamento del terzo brano dei Vespri, che alterna versetti tratti dai primi tre salmi biblici al triplice canto dell’alleluia è semplice e sorprendente.

I versetti dei salmi espongono la condizione di pericolo che l’uomo vive su questa terra e la fede che il giusto ripone nell’aiuto di Dio. Se letti nel contesto della minaccia della guerra, il loro tono è ancora più convincente:

Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi.
Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina.
Servite Dio con timore e con tremore esultate.
Beato chi in lui si rifugia.
Sorgi, Signore, salvami, mio Dio; sul tuo popolo la tua benedizione.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.



Un triplice alleluia commenta ogni versetto e introduce il seguente; il tono è pervaso da una gioia non dimentica del dolore, la solennità è trattenuta dalle poche note che ne costituiscono il motivo, l’armonia ha risonanze commoventi anche per il prevalere dell’apporto dei bassi.

Sembra che la melodia si ripeta, con poche variazioni, per nove volte e in parte è così. Ma se si osserva la partitura si scopre una straordinaria ricchezza. 
L’autore disegna una parabola di note per il canto della sera, quando più lieve è l’opera dell’uomo e più sereno l’abbandono a  Dio.

Difficile immaginare mezzi più semplici per variare una litania, in cui la gioia della gratitudine è ripetuta non per cancellare il dolore, ma per riassorbirlo nella tranquillità della pace. E la semplicità è caratteristica del genio,  la sua leggerezza indimenticabile.