I lettori del Sussidiario già conoscono il tribolato cammino di un’istituzione musicale come il Teatro Colon di Buenos Aires verso una necessaria restaurazione. E sanno anche che non tutto ha funzionato per il meglio, tanto che l’articolo pubblicato a suo tempo è stato tradotto ed editato da uno dei maggiori quotidiani online argentini, Urgente 24. Il fatto ha provocato parecchi malumori a livello politico nel Governo di Buenos Aires, perché la nota rivelava una situazione che doveva essere debitamente nascosta per apparire nella sua luce mediatica ovviamente addomesticata.
Invece, abbiamo innescato una polemica e acceso i riflettori su di un fatto che sarebbe passato quasi inosservato, dando una grossa mano a una cosa chiamata “cultura” della quale l’istituzione portena è patrimonio dell’umanità intera, fatto riconosciuto anche dai musicisti dell’orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano, che hanno tenuto una tre giorni di concerti a Buenos Aires proprio per celebrare la riapertura del Colon. Sulla quale si sono scatenati i media locali, anche perché coincidente con il bicentenario dell’Argentina: ma appena spenti i riflettori, i problemi sono scoppiati un’altra volta in maniera ben più grave, perché si è rivelato in tutta la sua dimensione il piano della Gobernacion di Buenos Aires capitanata dall’industriale di origini Italiane Mauricio Macri.
Non solo un restauro costato una montagna di soldi e tanto mal eseguito da costringere le autorità a chiudere intere sezioni del Teatro per nascondere le nefandezze, ma soprattutto la cancellazione del Colon come istituzione produttrice di cultura per ridurla a mera struttura ricevente. Ne sono clamorosi esempi la totale mancanza di strutture atte a servire l’artista nel corso della sua prestazione, ma anche l’inaspettata chiusura della stagione di balletto dovuta alle clamorose negligenze di una gestione sempre meno preparata ad affrontare temi come la cultura e inclinata verso soluzioni mercantili più “degne” di uno centro commerciale che di un teatro. Ce lo spiegano Miriam Coelho e Silvina Perillo, due prime ballerine.
«Nei tre anni di chiusura del Colon per i restauri siamo state accolte in strutture come la Società Ebraica e il Centro delle Esposizioni, dove abbiamo potuto continuare la nostra attività, ma il 19 maggio, quando siamo ritornate nel nostro amato teatro per preparare lo spettacolo di inaugurazione, ci siamo trovate di fronte a diverse sorprese. In primo luogo il pavimento del palcoscenico era un tarugato normale e non il classico Harlequin, la struttura usata in tutto il mondo per poter effettuare spettacoli di danza. E poi i pavimenti delle tre sale di prova che conoscevamo erano in parte marciti in parte saltati, fatto dovuto all’incuria che ha provocato infiltrazioni d’acqua che hanno rovinato l’intera struttura. Ci siamo rivolti quindi alla direzione che ci ha promesso il pavimento adeguato ma a tutt’oggi non è successo assolutamente nulla».
Poi come avete fatto per l’inaugurazione e la successiva stagione?
Abbiamo deciso di tentare di attuare lo stesso, ma qui sono iniziati i problemi: danzare su di un pavimento non adatto è quasi impossibile, ma soprattutto molto rischioso e così sono iniziati gli incidenti che hanno messo fuori causa ben 15 ballerini sui 40 attivi del corpo di ballo.
Attivi? Cosa significa?
Il corpo di ballo del Colon è composto da 85 elementi, ma solo 40 possono definirsi attivi perché, dopo che nel 1992 sono state abolite le pensioni cosiddette “privilegiate” dall’allora ministro dell’Economia, Cavallo, il limite da 40 è stato portato a 65 anni compiuti e quindi più della metà dei colleghi è costretta a turnarsi in parti che non implicano movimento, quasi statiche perché raggiunta una certa età le nostre capacità fisiche ovviamente si limitano. Tornando allo spettacolo di inaugurazione, una suite del “Lago dei Cigni”, lo abbiamo realizzato con immensi sacrifici . È penoso ballare su di una struttura che si rompe e già alla fine della rappresentazione avevamo dei colleghi lesionati. Ma non è tutto: ci siamo accorti che non avevamo neanche i camerini in cui cambiarci. All’inizio ci siamo accontentati di una tenda, ma poi quando ci hanno messo delle sedie dietro il palco creando un ambiente separato da una tela abbiamo reclamato. Ancora una volta senza successo e con le solite promesse mai mantenute. Arrivati a un certo punto, visto che rischiavamo di lesionarci tutti se avessimo continuato a ballare su quella struttura, abbiamo fatto il punto della situazione e ci siamo fermati. La direzione ha cancellato la stagione senza nemmeno convocarci, adducendo che eravamo solo degli artisti capricciosi senza voglia di lavorare.
Certo che lavorare in quelle condizioni è come pretendere che un pilota di Formula 1 vinca un Gran Premio con un triciclo.
Esatto, il paragone calza a pennello: quello che noi vogliamo è solo di poter usufruire di condizioni normali di lavoro, ossia di un ambiente adeguato. È deludente scoprire che dove sorgevano i camerini hanno aperto un caffè , ma ciò ti fa pure capire che è intenzione di questa Direzione eliminare il Corpo di ballo stabile per sostituirlo con 20-25 elementi pagati a prestazione. Un’istituzione come la nostra, con una traiettoria culturale di 87 anni e che ha dato al mondo elementi come Julio Bocca, Maximiliano Guerra, Inaki Urlezaga, per citare solo i più recenti, non può finire così.